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luciano

Genoma dell’antenato del frumento duro

by luciano

Comunicato stampa

Svelato il genoma dell’antenato del frumento duro 07/07/2017

Un team internazionale di ricercatori ha ricostruito per la prima volta la sequenza del genoma del farro selvatico (Triticum turgidum ssp. dicoccoides). Il lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, è stato guidato dall’Università di Tel Aviv ed ha coinvolto diverse decine di ricercatori provenienti da istituzioni di tutto il mondo. L’Italia ha contribuito a questo risultato attraverso la partecipazione di Crea (Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Fiorenzuola d’Arda), del Cnr (Istituto di biologia e biotecnologia agraria e Progetto InterOmics) e dell’Università di Bologna (Dipartimento di scienze agrarie).

Il farro selvatico è il progenitore da cui sono stati selezionati quasi tutti i frumenti coltivati, tra cui il grano duro ed il grano tenero utilizzati per produrre, rispettivamente, pasta e pane. Il farro selvatico non è coltivato a causa della bassissima produzione e dei caratteri selvatici che lo caratterizzano. Ad esempio, i semi maturi del farro selvatico cadono spontaneamente a terra rendendo difficile la loro raccolta da parte dell’uomo, mentre nel farro coltivato i semi rimangono sulla spiga. La decodifica del genoma del farro selvatico rappresenta un contributo fondamentale per lo studio dei caratteri genetici utili per il miglioramento dei frumenti coltivati (in relazione alla resistenza agli stress biotici ed abiotici, in particolare la siccità) e per la ricostruzione della storia evolutiva del frumento nella fase antecedente la nascita dell’agricoltura. La disponibilità del genoma del farro selvatico ed il confronto con il patrimonio genetico dei frumenti coltivati ha infatti consentito di identificare i geni responsabili dell’addomesticamento. In particolare sono stati caratterizzati due geni la cui mutazione spontanea impedisce la dispersione dei semi dalle spighe mature, una modifica che, rendendo possibile lo sviluppo dell’agricoltura nel neolitico, è stata determinante nell’indirizzare la storia dell’umanità.

Il genoma del farro selvatico è circa il triplo del genoma umano, caratteristica che rende la sua ‘lettura’ particolarmente difficile. Il Centro di ricerca genomica e bioinformatica ha partecipato con le proprie competenze bioinformatiche all’annotazione funzionale del genoma, ovvero all’identificazione della funzione dei geni, occupandosi in particolare di una porzione del genoma tanto misteriosa quanto affascinante poiché coinvolta nell’attività di regolazione genica in quanto sede di produzione dei cosiddetti RNA non codificanti. Ed è proprio questa parte del genoma ad essere la più interessante per la genomica del futuro permettendo di svelare i meccanismi di accensione e spegnimento coordinati degli oltre 65.000 geni presenti nel genoma del farro selvatico.

Cnr e Università di Bologna hanno contribuito allo studio dell’addomesticamento e della diversità genetica presente nelle popolazioni di farro selvatico e domestico, fonti importanti di variabilità ed una riserva fondamentale di varianti genetiche naturali tuttora scarsamente esplorata ed utilizzata per il miglioramento del frumento moderno. Da questo lavoro sono attese ricadute importanti sulle attività di miglioramento genetico per incrementare la sostenibilità, la resistenza alla siccità, la tolleranza alle patologie e gli aspetti nutrizionali e salutistici dei frumenti del futuro.

“L’approccio di sequenziamento ed analisi bioinformatica utilizzato per il farro selvatico è senza precedenti e ha aperto la strada al sequenziamento del frumento duro, la forma addomesticata del farro selvatico. Ora possiamo capire meglio come l’uomo ha trasformato questa pianta selvatica in un grano duro moderno ad alto rendimento”, ha detto il Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Crea di genomica e bioinformatica e coordinatore del Consorzio internazionale di sequenziamento del frumento duro.

“La disponibilità della sequenza del farro selvatico è un vero e proprio filo di Arianna che ci consentirà di individuare più facilmente i geni per selezionare frumenti di qualità migliore ed a minor impatto ambientale. Conoscere questi geni è la premessa indispensabile per utilizzare le nuove metodiche di selezione come l’editing dei geni, la cui applicazione potrà assicurare la competitività della granicoltura nazionale”, ha detto Roberto Tuberosa, responsabile del Laboratorio di genomica dei cereali presso il Dipartimento di scienze agrarie dell’Università di Bologna.

Aldo Ceriotti, direttore dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr, sottolinea come “Il confronto fra la sequenza del farro selvatico e quella del frumento duro ci permetterà di evidenziare come la selezione fatta dall’uomo abbia favorito l’accumulo di specifiche modificazioni nella sequenza del genoma di una delle principali specie coltivate nell’area del Mediterraneo, e costituirà una solida base per lo studio della variabilità genetica e lo sviluppo di nuove varietà di frumento duro”.

La scheda: Chi: Cnr (Istituto di biologia e biotecnologia agraria e Progetto InterOmics); Università di Tel Aviv; Crea; Università di Bologna.

Che cosa: Studio sul genoma del farro selvatico, pubblicato su Science

Per informazioni: Aldo Ceriotti, direttore Ibba-Cnr, tel. 02/23699444, e-mail: ceriotti@ibba.cnr.it

Capo ufficio stampa:
Marco Ferrazzoli
marco.ferrazzoli@cnr.it
ufficiostampa@cnr.it

Varietà di grano a basso contenuto di frazioni tossiche: un’opportunità per i prodotti dedicati ai bambini.

by luciano

LC/MS ANALYSIS OF GLUTEN PEPTIDES DERIVED FROM SIMULATED GASTROINTESTINAL DIGESTION OF DIFFERENT WHEAT VARIETIES: QUALITY AND SAFETY IMPLICATIONS. Sforza, Stefano & Prandi, Barbara & Bencivenni, Mariangela & Tedeschi, Tullia & Dossena, Arnaldo & Marchelli, Rosangela & Galaverna, Gianni. (2011):

Riassunto

“Il contenuto di glutine nel grano è molto variabile, dipendendo dalla varietà genetica e delle condizioni di coltivazione. La digestione gastrointestinale del glutine produce, oltre ai peptidi corti, anche lunghi, che, l’alto contenuto di prole di gliadine (16-26%) e glutenine (11-13%), rende molto resistenti alla degradazione delle proteasi digestive. Nel presente lavoro, un metodo per l’estrazione della frazione prolamine è stato applicato a diverse varietà di grano, seguite da una digestione gastrointestinale simulata della gliadina estratta. Le miscele peptidiche generate erano caratterizzate da LC / MS e i peptidi più abbondanti sono stati identificati mediante tecniche MS a stadio multiplo a bassa e alta risoluzione e attraverso la sintesi di standard autentici. Questi peptidi erano anche semiquantificati nei diversi campioni rispetto a un adeguato standard interno. Le miscele peptidiche sono risultate molto variabili, a seconda del diverso contenuto e tipo di gliadine presenti nelle varietà di grano, con forti differenze tra le varietà testate, sia qualitativamente (le sequenze dei peptidi generate) sia quantitativamente (la loro quantità).

La differenza più grande è stata trovata tra le varietà di grano duro e quelle comuni. I peptidi presenti solo nelle varietà precedenti sono stati identificati e utilizzati come marcatori molecolari per identificare e quantificare la presenza di grano tenero quando aggiunti a campioni di grano duro. La maggior parte dei peptidi identificati erano già noti per essere patogeni per le persone affette da celiachia, un’enteropatia autoimmune innescata dalle proteine ​​del glutine, che si sviluppa in alcuni soggetti geneticamente suscettibili dopo il consumo di glutine. Alcuni campioni appartenenti a varietà definite hanno mostrato una minore quantità di peptidi patogeni legati alla celiachia durante la digestione, a causa di un contenuto inferiore di gliadina. Sebbene non sia sicuro per i pazienti celiaci, l’uso di queste varietà nelle formulazioni di alimenti per l’infanzia potrebbe essere di grande aiuto per ridurre la diffusione della malattia, poiché la prevalenza della celiachia sembra essere favorita da un’esposizione precoce a una grande quantità di peptidi di glutine”.

 

Grano monococco (piccolo farro) e l’offerta del mercato

by luciano

La ricerca scientifica ha evidenziato da tempo le caratteristiche peculiari del grano monococco  riportate in (https://glutenlight.eu/2019/03/11/il-grano-monococco/ ) e così sintetizzabili:

  1. Elevata digeribilità del glutine
  2. Elevata tollerabilità in relazione ai disturbi gastro-intestinali (celiachia esclusa)
  3. Elevato contenuto di minerali e vitamine
  4. Elevata disponibilità di componenti bioattive
  5. Un differente rapporto tra le componenti dello zucchero dell’amido con prevalenza di quella a lento assorbimento.

Il grano monococco è, da un po’ di tempo, al centro dell’attenzione dei produttori-trasformatori e dei consumatori. I prodotti offerti, però, non hanno, se non in rari casi, una tracciabilità completa da partendo dal “campo arrivi alla tavola”. Sulle confezioni di farina è raro trovare indicazioni riguardo la varietà del grano da cui deriva; sui prodotti finali troviamo gli ingredienti obbligatori per legge ma, raramente, la modalità di preparazione. Il discorso, comunque, vale per tutti i grani sia antichi sia moderni. La maggiore attenzione verso il grano monococco (piccolo farro) è dovuta alla forza evocativa della sua origine ancestrale e alle sue caratteristiche di elevata digeribilità, tollerabilità e contenuti salutistici. La varietà di grano usato e gli indicatori che ci informino sulla quantità e “forza” del glutine risulterebbero particolarmente preziose per poter inserire nella nostra dieta, quando serve, prodotti più digeribili. Il glutine così come si forma durante quando acqua e farina vengono impastate non è digeribile dal nostro intestino, deve venire prima “spezzettato” dagli enzimi digestivi in piccolissimi “frammenti”. In questo modo nell’intestino altri enzimi digestivi completeranno il lavoro in modo da rendere i componenti del glutine “aminoacidi” assimilabili. La minore quantità di glutine e una minore forza faciliteranno a volte di molto, il nostro compito.

I prodotti fatti con farina di grano monococco (piccolo farro) ed in genere quelli realizzati con “ i grani antichi”, vengono pubblicizzati come “molto digeribili” o “ad elevata digeribilità”. Entrambi i termini sono molto generici dal momento che possono presentare forti differenze in termini di quantità di glutine e di “forza del glutine”. Recentemente ho acquistato due differenti farine di grano monococco di cui ho fatto rilevare la quantità di glutine: uno ha una percentuale di glutine secco del 9,6% l’altro del 17,1%! Stessa cosa con la forza del glutine il cui indice in un caso era 33 in un altro 71!

Questi indicatori sono un primo valido aiuto che potremmo avere per meglio bilanciare, con il supporto del medico, la nostra dieta. Va poi ricordato che la digeribilità finale del prodotto realizzato con farine, qualunque esse siano, è molto influenzata anche dalla modalità di preparazione dei prodotti: basti pensare al notevole contributo per la digeribilità che possiamo ottenere utilizzando la pasta acida, ma anche questa informazione è generalmente assente o presente in maniera ambigua o senza specificazione di quale farina sia stata utilizzata: “….realizzato con pasta acida”.  https://glutenlight.eu/2019/05/08/la-fermentazione-della-pasta-acida-ii-parte/

Grani antichi e moderni, intolleranza al glutine e pesticidi: Enzo Spisni risponde alle domande dei lettori

by luciano

(DA: Redazione Il Fatto Alimentare 11 Agosto 2017)

“La questione dei grani antichi e della sensibilità al glutine fa molto discutere. Non sorprende quindi, che l’articolo “Pasta con grano antico o moderno: il problema dell’intolleranza al glutine è lo stesso? Spisni risponde a Bressanini” abbia scatenato un acceso dibattito. Ecco le risposte di Enzo Spisni, docente di Fisiologia della Nutrizione all’Università di Bologna, ai tanti commenti dei lettori del Fatto Alimentare.

Prima l’incipit. Ho sottolineato che tutti possono fare divulgazione scientifica, ma solo tre figure hanno le competenze e possono (per la legge italiana) modificare il modo di alimentarsi e la dieta delle persone. In un paese in cui troppi parlano di diete senza avere competenze e in cui famosi farmacisti vanno in televisione a suggerire diete e dichiarano di avere migliaia di “pazienti”, mi sembra quantomeno un appunto doveroso.

Veniamo alle definizioni. Si definiscono antichi o tradizionali le cultivar presenti prima della cosiddetta “Rivoluzione Verde”. Le differenze sostanziali tra i grani pre-rivoluzione e quelli post-rivoluzione possiamo riassumerle in quattro punti:

1.    La forza del glutine. Si parte da grani che hanno un valore W di forza del glutine di 10-50 e si arriva ai moderni che hanno una forza intorno ai 300-400. È evidente che la struttura del glutine cambia per venire incontro alle necessità dell’industrializzazione degli alimenti.
2.    La taglia. I grani pre-rivoluzione sono a taglia alta (diciamo oltre il metro e trenta), mentre i post sono a taglia bassa (molto al di sotto del metro).
3.    La produttività per ettaro, che aumenta molto nei moderni a fronte però dell’aumento dell’input di azoto attraverso la concimazione. Lascio il discorso su quanto azoto per ettaro agli agronomi, ma chi in campo è passato dal coltivare moderni in convenzionale a grani antichi in biologico si è reso ben conto del risparmio in denaro generato dalla minore concimazione e dal minore uso di chimica.
4.    La minore variabilità genetica, nel senso che le cultivar antiche erano un insieme di genotipi con una biodiversità complessivamente elevata, mentre post-rivoluzione si è andati verso la selezione di grani “in purezza”, fatta di piante tutte geneticamente identiche, con una perdita netta di biodiversità non trascurabile. In altre parole è cambiato il concetto di adattamento: mentre una variabilità genetica ampia è in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali, una variabilità genetica ridotta richiede un maggior intervento dell’uomo nel tentativo di meglio adattare il campo al tipo di grano coltivato. E l’intervento dell’uomo molto spesso si traduce in utilizzo di prodotti chimici.