Grano Evolutivo? Miscuglio di grani?
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La filiera del vino pregiato e quella dell’olio pregiato hanno fatto grande l’Italia, hanno reso celebri le migliori etichette, hanno diffuso non solo qualità ma anche cultura perché dietro ogni etichetta c’è un mondo di lavoro, di passione di sentimenti di moltissime persone che con cura ed amore coltivano, trasformano custodiscono preziosità della natura.
“nome e cognome” contraddistinguono Vino ed Olio pregiati assicurandoci la purezza della varietà, la località di origine, l’insieme delle caratteristiche che sono proprie ed uniche delle differenti varietà. Il quadro finale delle caratteristiche del prodotto non risalta solo per la ricchezza e la diversità dei “colori” che la “terra d’origine” utilizza ma anche per quelli che la natura crea ogni anno e stagione in modo differente. L’armonia del prodotto finale riflette la capacità dell’uomo di valorizzare ed armonizzare questi colori.
Perchè rinunciare a tutto questo con il grano? Perchè non riprodurre questo “miracolo italiano” con le varietà del grano? Perchè rinunciare a creare con le varietà pregiate dei grani antichi filiere come quelle del vino e dell’olio?
Salvatore Ceccarelli professore della Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia sostiene che affidarsi alle varietà moderne è un errore. Meglio piantare miscugli di sementi e affidarsi all’evoluzione spontanea della natura.
“I miscugli, ma sarebbe meglio dire popolazioni evolutive, sono raccolte di semi di varietà differenti”, spiega ad AgroNotizie Ceccarelli. “Una volta piantate all’interno di un campo le varietà si incrociano in maniera naturale e vengono influenzate dalle caratteristiche pedo-climatiche del luogo. Questo miscuglio diventa così una popolazione, perché le varietà all’inizio distinte si scambiano i geni, che si evolve adattandosi sempre meglio a quel particolare luogo”.
Il passo successivo, spiega il professore sarebbe il miglioramento genetico evolutivo. Poichè le singole varietà tendono a mischiarsi con il passare degli anni l’agricoltore può andarsi a scegliere quella con le caratteristiche che preferisce ottenendo così una propria varietà uniforme, che si adatta perfettamente all’areale in questione essendosi evoluta in quella zona.
Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca genomica e bioinformatica del Crea. Afferma che “Pensare che un agricoltore, senza strumenti o preparazione particolare, sia in grado di fare un lavoro di selezione genetica migliore di quello che si fa nei centri di ricerca mi pare a dir poco improbabile”.
Una strada, quella del miscuglio evolutivo, che non porta da nessuna parte per l’incertezza dei risultati. Altamente improbabile, in questo modo, ottenere prodotti di eccellenza che possano costituire una filiera pregiata.
Una strada che non valorizza la ricchezza che l’Italia ha in termini di varietà di grani, soprattutto antichi; molte varietà di questi ultimi hanno caratteristiche di pregio uniche adatte a creare filiere pregiate.
Ogni nuova varietà, se ottenuta in modo spontaneo, dovrà, però, essere ristudiata sia per la sua composizione che per le sue caratteristiche tecnologiche e salutistiche per valutarne il pregio: i costi di questo processo sono così elevati che sono giustificati però solo se si parte sapendo cosa si vuole ottenere e non affidandoci al “caso”. Le moderne tecniche del “breeding” servono proprio a questo. Queste tecniche sono utilizzate quando si vogliono ottenere grani particolari che rispondano ad esigenze di mercato: esigenze dovute a processi tecnologici oppure a necessità salutistiche (grani adatti ai celiaci ad esempio).
La strada da percorrere per creare le eccellenze del grano in modo simile al vino e all’olio non è quella utilizzata con i grani adatti al sistema industriale ma quella della selezione di varietà di grani antichi similmente alla scelta del “vitigno” per il vino o della “cultivar” per l’olio.
Non va dimenticato infine che riguardo al grano è sempre più importante poter contare su grani che siano maggiormente adatti alle persone che soffrono di disturbi legati all’assunzione di glutine/grano (NON celiache) e per le quali l’identificazione della varietà utilizzata e le sue caratteristiche sono molto importanti.
Un esempio della diversità dei grani in relazione alla digeribilità:
La digeribilità di un grano è, in larga, parte caratterizzata dalla possibilità degli enzimi gastro-intestinali di “spezzettare” idrolizzare il glutine in modo da renderlo digeribile (assimilabile) dall’intestino. Il glutine è composto da moltissime frazioni (peptidi) che hanno una notevole diversità in termini di digeribilità dovuta ai legami che uniscono tra loro gli aminoacidi che lo compongono. Tra questi si distingue un peptide -denominato 33mer- presente nel grano tenero e nel farro spelta che è in assoluto il più resistente alla digestione (è anche quello più nocivo per i celiaci). Questa frazione è presente nei grani in misura notevolmente differente; lo studio “ Quantitation of the immunodominant 33-mer peptide from α-gliadin in wheat flours by liquid chromatography tandem mass spectrometry”, (1) nell’ambito delle varietà analizzate, “ha rilevato valori da “90.9 to 602.6 μ g/g of flour “. La conseguente digeribilità delle singole varietà è segnatamente diversa. Mischiare grani a caso quindi, potrebbe portare ad ottenere, sotto questo profilo, un nuovo grano niente affatto migliore. Analoghe conclusioni sono riportate nello studio “ Composition of peptide mixtures derived from simulated gastrointestinal digestion of prolamins from different wheat varieties” (2). Lo studio richiama, peraltro, il suggerimento -proposto da Ivarsson et al., 2002 – di utilizzare le varietà con minori quantità di frazioni che attivano la risposta avversa del sistema immunitario nei celiaci per la preparazione dei prodotti per la prima infanzia
Richiami
Pane di grano monococco 100%
Ricerca di genotipi di grano naturalmente a bassa tossicità mediante un approccio multidisciplinare
Glutine e digeribilità
Prevenzione della celiachia
Grano monococco – perchè è cosi importante
Note
1 – “The prolamin fraction is particularly rich in proline and glutamine and the numerous proline residues lead to a high resistance to complete proteolytic digestion by human gastric, pancreatic, and brushborder enzymes. Studies by Shan et al. (2002) showed that a large 33-mer peptide (LQLQPFPQPQLPYPQPQLPYPQPQLPYPQPQPF) from α 2-gliadin (position in the amino acid sequence of α2-gliadin: 56–88) is resistant to cleavage by intestinal peptidases. Omissis….The 33-mer was present in all common wheat and spelt flours in a range from 90.9 to 602.6 μ g/g of flour (Fig. 2a). The modern wheat Y14 had the highest amount of 33-mer (602.6 μg/g flour), that was significantly different to all analysed cultivars with the exception of Z14 (see Supplementary Table S2). The old wheat ABD with the lowest 33-mer content of 90.9 μg/g flour differed significantly to all wheat and spelt cultivars. Quantitation of the immunodominant 33-mer peptide from α-gliadin in wheat flours by liquid chromatography tandem mass spectrometry. Kathrin Schalk, Christina Lang, Herbert Wieser, Peter Koehler & Katharina Anne Scherf 22 March 2017 Scientific Report.”
2 – “Although all wheat samples were found to generate pathogenic peptides upon digestion (thus no variety can be considered “safe” for celiac patients), peptide mixtures derived from the digestion of T. aestivum samples were found to contain less toxic peptides than T. durum and T. turanicum, while immunogenic peptides were less abundant in T. durum digests than in T. aestivum and turanicum. Among T. durum samples, on the other hand, a quite high variability was observed: D240 was the variety with the lower content of toxic peptides, while Levante was the one with a lower content of immunogenic peptides. Albeit not “safe” for celiac patients, the use of this variety, for example in the formulations of baby food, could reduce the exposure during the most critical period for the development of the disease (Ivarsson et al., 2002). Composition of peptide mixtures derived from simulated gastrointestinal digestion of prolamins from different wheat varieties. Barbara Prandia et al. 2012”
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