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Ricerca recente e approfondita sull’influenza del microbiota intestinale, della dieta e dell’esercizio fisico sulla permeabilità intestinale. Tetiana R. Dmytriv et al. 2024.

by luciano

Per il test completo: Tetiana R. Dmytriv et al.
DOI 10.3389/fphys.2024.1380713. PUBBLICATO 08 luglio 2024

In Evidenza
1. La parete intestinale [1] è composta da tre strati: mucosa, epiteliale e lamina propria. Lo strato mucoso è abitato da microrganismi, molti dei quali coesistono reciprocamente beneficamente all’interno del corpo umano. Questi microrganismi modulano molti se non la maggior parte dei processi viventi: dallo sviluppo del sistema immunitario e nervoso nelle prime fasi della vita all’induzione dell’infiammazione cronica che causa neurodegenerazione nell’invecchiamento. Nonostante il fatto che questi microrganismi abbiano coesistito con gli esseri umani per molti anni, in determinate condizioni il sistema immunitario enterale della lamina propria può percepirli come estranei e innescare una risposta pro-infiammatoria.

2. Normalmente, la mucosa intestinale è semipermeabile. Consente l’assorbimento selettivo dei nutrienti nel flusso sanguigno, ma impedisce l’ingresso di microrganismi potenzialmente dannosi e dei loro prodotti di scarto dal contatto con il sistema immunitario enterale. Uno squilibrio del microbiota intestinale, chiamato disbiosi, può causare un disturbo dell’integrità intestinale e aumentare la permeabilità intestinale.

3. L’eccessiva permeabilità della parete intestinale provoca lo sviluppo di un’infiammazione cronica di basso grado.

4. La nutrizione sembra essere il più semplice agente non farmacologico di integrità e permeabilità della parete intestinale. Può avere sia un effetto negativo, come l’HFD che induce l’endotossemia metabolica, sia un effetto positivo, come una dieta ricca di polifenoli vegetali o prodotti lattiero-caseari fermentati, aumentando l’espressione delle proteine TJ [2] e promuovendo lo sviluppo di batteri benefici.

5. L’esercizio fisico può anche influenzare la permeabilità intestinale. I suoi effetti dipendono dalla durata e dall’intensità dell’esercizio. Lo sforzo fisico acuto esteso spesso aumenta la permeabilità intestinale che può essere correlata all’induzione dello stress da calore, che gli organismi non possono far fronte in quel momento a causa delle risorse insufficienti. D’altra parte, gli esercizi regolari di bassa e moderata intensità, che sono di natura adattiva, hanno per lo più un effetto positivo sull’integrità dell’intestino e ne riducono la permeabilità.

La ricerca

“La parete intestinale è una barriera selettivamente permeabile tra il contenuto del lume intestinale e l’ambiente interno del corpo. I disturbi della permeabilità della parete intestinale possono potenzialmente portare a un’attivazione indesiderata del sistema immunitario enterico a causa di un contatto eccessivo con il microbiota intestinale e i suoi componenti e lo sviluppo di endotossemia, quando il livello di lipopolisaccaridi batterici aumenta nel sangue, causando infiammazione cronica a bassa intensità. In questa revisione, vengono trattati i seguenti aspetti: la struttura della barriera della parete intestinale; l’influenza del microbiota intestinale sulla permeabilità della parete intestinale attraverso la regolazione del funzionamento delle proteine a giunzione stretta, la sintesi/degradazione del muco e degli effetti antiossidanti; i meccanismi molecolari di attivazione della risposta proinfiammatoria causata dall’invasione batterica attraverso le cascate di segnalazione TIRAP/MyD88 e TRAM/TRIF indotte da TLR4; l’influenza della nutrizione sulla permeabilità intestinale e l’influenza dell’esercizio fisico con un’enfasi sullo stress da calore indotti dall’esercizio e sull’ipossia. Nel complesso, questa revisione fornisce alcune informazioni su come prevenire l’eccessiva permeabilità della barriera intestinale e i processi infiammatori associati coinvolti in molte, se non nella maggior parte delle patologie. Alcune diete e l’esercizio fisico dovrebbero essere approcci non farmacologici per mantenere l’integrità della funzione di barriera intestinale e fornire il suo funzionamento efficiente. Tuttavia, in tenera età, l’aumento della permeabilità intestinale ha un effetto ormetico e contribuisce allo sviluppo del sistema immunitario.

Introduzione

La parete intestinale è un sistema complesso composto da quattro strati: mucosa, sottomucosa, muscolo e serosa. Il termine “barriere intestinale” enfatizza la componente protettiva della parete intestinale, mentre la permeabilità intestinale è una caratteristica misurabile dello stato funzionale della barriera intestinale (Bischoff et al., 2014). La parete fornisce un assorbimento selettivo di nutrienti e altri componenti del lume intestinale. Allo stesso tempo, la barriera intestinale protegge il corpo dall’ingresso di sostanze estranee indesiderate, particelle di cibo, microrganismi e loro componenti. Negli organismi normalmente funzionanti, la permeabilità della parete intestinale è strettamente controllata, ma il suo disturbo, se non adeguatamente fissato, può portare a molte, se non la maggior parte, patologie acquisite (Gieryńska et al., 2022).

Il tratto gastrointestinale (GIT) è abitato da diversi microbi chiamati microbiota intestinale che formano una comunità molto dinamica.

Figura 1 La struttura schematica della barriera intestinale. Per i dettagli vedi il testo.

L'”Ipotesi dei vecchi amici” suggerisce che le persone si sono evolute con molti microbi che, oltre a molte funzioni fisiologiche, stimolano anche lo sviluppo del sistema immunitario e ne regolano il funzionamento (Rook, 2023). Gli antigeni microbici sono sotto costante sorveglianza da parte del sistema immunitario enterico. Le cellule T immunitarie regolatorie sono responsabili del mantenimento della tolleranza immunitaria del microbiota intestinale omeostatico (Wu e Wu, 2012). Tuttavia, l’aumento della permeabilità intestinale può promuovere la traslocazione dei batteri luminali e dei modelli molecolari associati ai microbi, in particolare i lipopolisaccaridi (LPS) dall’intestino al flusso sanguigno, innescando lo sviluppo di endotossemia e infiammazione cronica a bassa intensità (Vanuytsel et al., 2021). L’endotossemia indotta dalla dieta è definita come endotossemia metabolica. Ad esempio, Cani et al. (2007) hanno stabilito che una dieta ricca di grassi ha aumentato cronicamente le concentrazioni plasmatiche di LPS da due a tre volte.

I lipopolisaccaridi endogeni LPS vengono costantemente rilasciati a causa della morte di batteri Gram-negativi nell’intestino. Con un aumento della permeabilità della barriera intestinale, gli LPS vengono assorbiti nel flusso sanguigno portale, da dove vengono trasportati dalle lipoproteine direttamente nel fegato, formando l’asse intestino-fegato. Inoltre, sono metabolizzati dagli enzimi epatici ed escreti con la bile. Tuttavia, se la loro degradazione o l’escrezione biliare sono compromesse, l’LPS può raggiungere la circolazione sistemica, dove si lega al recettore Toll-like 4 (TLR4) su leucociti, cellule endoteliali e piastrine, causando infiammazione arteriosa. In definitiva, questo porta all’attivazione della coagulazione del sangue e alla formazione di trombi, che dimostra che l’infiammazione indotta da LPS associata all’aumento della permeabilità della parete intestinale può essere coinvolta nello sviluppo dell’aterosclerosi e delle malattie trombotiche (Violi et al., 2023). In generale, la rottura della funzione di barriera intestinale è coinvolta in molte malattie correlate e non correlate al GIT, tra cui la malattia infiammatoria intestinale, la malattia epatica associata alla disfunzione metabolica, il malassorbimento degli acidi biliari, la celia, il diabete di tipo I, l’obesità, la schizofrenia e altre (Vanuytsel et al., 2021). Potenzialmente, questo potrebbe essere superato da un intervento non farmacologico basato su dieta ed esercizi (Pražnikar et al., 2020; Ordille e Phadtare, 2023) che promuovono un ecosistema intestinale sano e alleviano i sintomi di molte patologie.

In questa recensione, descriviamo la struttura della parete intestinale e i meccanismi molecolari della risposta pro-infiammatoria causata dall’invasione batterica a causa del disturbo della permeabilità della parete intestinale, nonché le influenze del microbiota intestinale, della dieta e degli esercizi sulla permeabilità della parete intestinale. Diete specifiche ed esercizi regolari a bassa e moderata intensità sono proposti come approcci non farmacologici efficaci per mantenere l’integrità della parete intestinale e il suo funzionamento efficiente. Tuttavia, in tenera età, la perdita controllata dell’intestino può essere necessaria per innescare lo sviluppo del sistema immunitario attraverso meccanismi ormetici.

2 La struttura della barriera intestinale

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3 Permeabilità intestinale

La semipermeabilità o permeabilità selettiva è una caratteristica cruciale della parete intestinale. Limita la penetrazione degli agenti patogeni ma consente la permeabilità di nutrienti, acqua e ioni. I fattori endogeni (ad esempio, infiammazione) ed esogeni (ad esempio, componenti dietetici, sostanze tossiche o farmaci) possono aumentare la permeabilità intestinale e causare la formazione di un cosiddetto “intestino permeabile”. Quest’ultimo è caratterizzato dalla penetrazione di antigeni alimentari, commensali o batteri patogeni nel sangue, causando lo sviluppo di infiammazione (Vanuytsel et al., 2021). Alcune malattie possono anche agire come fattore dirompente della barriera intestinale. Ad esempio, diversi studi dimostrano che l’iperglicemia, una caratteristica chiave del diabete, induce la disfunzione della barriera intestinale (Thaiss et al., 2018; Dubois et al., 2023). L’esposizione prolungata al glucosio ad alti livelli aumenta la capacità di migrazione della linea cellulare del colon umano Caco-2, con il risultato che gli strati appaiono meno organizzati rispetto alle condizioni fisiologiche. In particolare, questo è associato a una diminuzione dell’espressione delle proteine della giunzione stretta (TJ), che contribuisce all’interruzione della rete strutturale ad esse associata e a un aumento della permeabilità della barriera intestinale (Dubois et al., 2023). A sua volta, questo contribuisce alla penetrazione dei batteri luminali e allo sviluppo della disbatteriosi con conseguente infiammazione. Ad esempio, Harbison et al. (2019) hanno dimostrato che i bambini con diabete di tipo I hanno disbiosi del microbiota intestinale associata ad un aumento della permeabilità intestinale. In particolare, sono stati osservati una minore diversità microbica, un numero inferiore di specie batteriche antinfiammatorie e batteri produttori di SCFA, e questi cambiamenti non sono stati spiegati dalle differenze nella dieta. Pertanto, alcune malattie, tra cui il diabete, possono anche svolgere il ruolo di disgregatori della barriera intestinale. Ad esempio, diversi studi dimostrano che l’iperglicemia, una caratteristica chiave del diabete, induce la disfunzione della barriera intestinale (Thaiss et al., 2018; Dubois et al., 2023). L’esposizione prolungata al glucosio ad alti livelli aumenta la capacità di migrazione della linea cellulare del colon umano Caco-2, con il risultato che gli strati appaiono meno organizzati rispetto alle condizioni fisiologiche. In particolare, questo è associato a una diminuzione dell’espressione delle proteine della giunzione stretta (TJ), che contribuisce all’interruzione della rete strutturale ad esse associata e a un aumento della permeabilità della barriera intestinale (Dubois et al., 2023). A sua volta, questo contribuisce alla penetrazione dei batteri luminali e allo sviluppo della disbatteriosi con conseguente infiammazione. Ad esempio, Harbison et al. (2019) hanno dimostrato che i bambini con diabete di tipo I hanno disbiosi del microbiota intestinale associata ad un aumento della permeabilità intestinale. In particolare, sono stati osservati una minore diversità microbica, un numero inferiore di specie batteriche antinfiammatorie e batteri produttori di SCFA, e questi cambiamenti non sono stati spiegati dalle differenze nella dieta. Pertanto, alcune malattie, tra cui il diabete, possono anche svolgere il ruolo di disgregatori della barriera intestinale.

Il muco e l’epitelio sono i componenti più importanti della barriera intestinale che limitano lo sviluppo dell’infiammazione. Lo strato mucoso è costituito da due sottostrati (Figura 1). Lo strato esterno è spesso e sciolto. È abitato da un gran numero di microrganismi commensali che formano colonie e, in condizioni di salute, i batteri patogeni non possono crescere oltre le loro o penetrare ulteriormente. In altre parole, i microrganismi omeostatici competono in modo efficiente con quelli potenzialmente patogeni e prevengono la loro eccessiva proliferazione. Il sottostrato interno, al contrario, è solido e contiene solo pochi microbi (Usuda et al., 2021). Il microbiota intestinale svolge un ruolo importante nel cambiare la composizione del muco, regolandone la sintesi e la degradazione. Le cellule epiteliali sono collegate da proteine TJ (Lee et al., 2018) che regolano l’assorbimento di acqua, ioni e sostanze disciolte. Includono due categorie funzionali di proteine: proteine transmembrana integrale, situate al confine delle membrane cellulari adiacenti, e proteine della membrana periferica adattiva che collegano le proteine integrali con il citoscheletro dell’actina. Il primo include occludina, claudine, molecole di adesione junction e tricellulina, mentre i secondi includono zonula occludens-1 (ZO-1), ZO-2 e ZO-3 (Lee et al., 2018). Il microbiota intestinale può influenzare l’espressione e la localizzazione di tutte queste proteine TJ.

3.1 Influenza del microbiota intestinale sulle proteine a giunzione stretta

Le proteine TJ regolano il tasso di trasporto paracellulare, compreso il trasporto dei nutrienti consumati attraverso il percorso tra le cellule epiteliali vicine. Nelle micrografie elettroniche le proteine TJ sembrano punti di fusione delle membrane delle cellule vicine dove non c’è spazio intercellulare in questi luoghi (Gonzalez- Mariscal et al., 2003). Svolgono il ruolo di sensori delle condizioni ambientali che regolano dinamicamente il trasporto paracellulare di soluti (Ulluwishewa et al., 2011). La disregolazione delle proteine TJ può portare a un’eccessiva permeabilità della barriera intestinale.

I batteri possono modificare l’espressione e la distribuzione delle proteine TJ e quindi influenzare la permeabilità intestinale. Ad esempio, alcuni ceppi patogeni di Escherichia coli, tra cui il ceppo E. coli O157:H7 che causa diarrea sanguinolenta, producono tossine come le tossine Shiga (STx). Questi ultimi sopprimono la biosintesi delle proteine e contribuiscono allo sviluppo della sindrome uremica emolitica, che è una complicanza pericolosa per la vita. Pradhan et al. (2020) hanno scoperto che STx2a diminuisce l’espressione delle proteine TJ come ZO-2, occludina e claudina-1 (Pradhan et al., 2020). Tuttavia, questo ceppo richiede la presenza di E. coli non patogeni, che migliora l’espressione di Stx2a. In questo modo, l’E. coli non patogeno diminuisce l’espressione delle proteine TJ, aumentando la produzione della tossina STx2a da parte del ceppo E. coli O157:H7 (Xiaoli et al., 2018). Ciò indica che, in determinate condizioni, anche il microbiota non patogeno può avere un impatto negativo sulla permeabilità della parete intestinale. Al contrario, l’uso di probiotici (microrganismi viventi che sono benefici per l’organismo ospite se somministrati in quantità adeguate) può contribuire all’integrità della barriera intestinale (Ulluwishewa et al., 2011; Gou et al., 2022). In particolare, le specie Lactobacillus e Bifidobacterium sono i probiotici più comunemente usati. Ad esempio, Lactobacillus reuteri aumenta l’espressione delle proteine TJ e quindi supporta l’integrità della parete intestinale (Gou et al., 2022). La somministrazione orale di L. reuteri I5007 ha aumentato significativamente i livelli di claudina-1, occludina e ZO-1 nei suinetti appena nati. Uno studio in vitro ha dimostrato che il pretrattamento della linea cellulare epiteliale intestinale suina J2 con questo ceppo batterico ha soppresso una diminuzione indotta da LPS nell’espressione proteica TJ (Yang et al., 2015). La somministrazione di L. plantarum nel duodeno di persone sane ha aumentato il livello di ZO-1 e occludina. Tuttavia, L. plantarum non ha influenzato in modo significativo l’espressione del modello epiteliale umano di occludina in vitro, ma ha indotto la traslocazione di ZO-1 nella regione TJ che forma un sigillo paracellulare tra le cellule epiteliali (Karczewski et al., 2010; Caminero et al., 2023). Bifidobacterium infantis e L. acidophilus hanno impedito la disregolazione dei livelli di occludina e claudina-1 nella linea cellulare del carcinoma del colon (Caco-2) stimolata dal trattamento IL-1β. Questi ceppi hanno normalizzato la loro espressione e hanno contribuito all’integrità della barriera intestinale (Guo et al., 2017). Per comodità, abbiamo riassunto alcune informazioni disponibili riguardanti l’influenza di diversi ceppi batterici probiotici sulle proteine TJ nella Tabella 1. In generale, i batteri probiotici possono sia aumentare che diminuire le proteine TJ. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questo non causa un’eccessiva permeabilità intestinale, ma al contrario, la normalizza e contribuisce alla sua integrità.

Gli antibiotici usati per trattare le infezioni batteriche possono influenzare negativamente il microbiota intestinale. Causano uno squilibrio tra gruppi specifici di batteri e innescano lo sviluppo della disbatteriosi (Tulstrup et al., 2015). La disbatteriosi, a sua volta, contribuisce alla permeabilità intestinale. Un aumento della popolazione di batteri patogeni alla disbacteriosi che probabilmente producono livelli più elevati di LPS, può danneggiare le cellule epiteliali della barriera intestinale e contribuire ad aumentare la permeabilità intestinale. Ad esempio, è stato dimostrato che i cambiamenti nella composizione microbica erano correlati con un aumento della permeabilità intestinale nei soggetti dipendenti dall’alcol (Leclercq et al., 2014).

Inoltre, il microbiota intestinale è una fonte significativa di proteasi digestive utilizzate per abbattere le proteine ospiti per le proprie esigenze. Tuttavia, l’eccessiva attività delle proteasi microbiche può interrompere i componenti epiteliali della barriera intestinale a causa della scissione delle proteine TJ. A loro volta, i cambiamenti nelle proteine TJ portano ad un aumento della permeabilità paracellulare della barriera epiteliale (Caminero et al., 2023).

3.2 Il ruolo del microbiota intestinale nella biosintesi e nella degradazione dei componenti dello strato mucoso

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3.3 Effetti antiossidanti dei microrganismi intestinali

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4 Meccanismi molecolari dell’attivazione della risposta pro-infiammatoria causata dall’invasione batterica

La disbatteriosi del microbiota intestinale può portare all’interruzione della funzione della barriera intestinale e all’omeostasi immunitaria. L’aumento della permeabilità intestinale facilita la traslocazione dei microbi, dei loro componenti e dei prodotti microbici nel flusso sanguigno e il loro riconoscimento da parte delle cellule immunitarie ospiti (Longo et al., 2020). Il microbiota intestinale è il principale serbatoio di endotossine proinfiammatorie all’interno del corpo. In particolare, l’LPS, il componente principale della membrana esterna dei batteri Gram-negativi, può causare la cosiddetta endotossemia. Quest’ultimo si sviluppa quando il livello di LPS nel sangue aumenta e questo porta all’attivazione di una risposta immunitaria pro-infiammatoria che innesca un’infiammazione sistemica di basso grado (André et al., 2019). Un aumento indotto dalla dieta della concentrazione di LPS nel sangue è chiamato endotossemia metabolica. Il livello di LPS nel siero del sangue dei topi che hanno consumato una dieta ricca di grassi (HFD) per 4 settimane è simile al suo livello di endotossemia metabolica (Mohammad e Thiemermann, 2021). Questo mostra chiaramente come la nutrizione possa influenzare la permeabilità intestinale e la risposta immunitaria. L’interazione dinamica tra il microbiota intestinale e il sistema immunitario intestinale svolge un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi intestinale. Le cellule ospiti contengono recettori di riconoscimento del modello (PRR) che riconoscono i modelli molecolari associati agli agenti patogeni batterici (PAMP). Questi ultimi sono motivi batterici altamente conservati, posseduto in LPS, oligodeossinucleotidi, peptidoglicani e altri che possono innescare la risposta immunitaria dell’ospite (Asiamah et al., 2019).

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4.1 Attivazione precoce/tarditiva dell’infiammazione da parte di TIRAP/MyD88 e TRAM/TRIF cascate di segnalazione

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Infiammazione di basso grado e cervello

by luciano

Cos’è l’infiammazione?

Di solito parliamo di “infiammazione” in relazione a infezioni e lesioni. Quando il corpo è infetto, le cellule immunitarie riconoscono le molecole “non auto” e producono fattori infiammatori, chiamati “citochine”, per coordinare la lotta contro l’infezione. Le citochine avvertono altre cellule immunitarie e le portano al sito di infezione. L’infiammazione viene valutata clinicamente misurando le concentrazioni di citochine o altri marcatori infiammatori nel sangue ed è usata come segno di infezione.

Cos’è l’infiammazione di basso grado?

È una domanda a cui rimane difficile rispondere. L’infiammazione di basso grado è solitamente definita come “la produzione cronica, ma in uno stato di basso grado, di fattori infiammatori”. Le condizioni caratterizzate da infiammazione di basso grado sono ad esempio l’obesità (1), la depressione (2) o il dolore cronico (3). L’infiammazione di basso grado non deriva da un’infezione, ma sono coinvolti diversi meccanismi fisiologici. Le concentrazioni di fattori infiammatori in queste condizioni sono complessivamente leggermente più alte rispetto alle popolazioni sane, ma rimangono comunque negli intervalli di salute. È quindi difficile determinare se un paziente specifico mostra “infiammazione di basso grado”, ma può essere meglio definito a livello di un gruppo di pazienti.

Infiammazione e cervello

Quando siamo malati, spesso vogliamo dormire, abbiamo un appetito ridotto, preferiamo stare a casa da soli, abbiamo difficoltà a concentrarci e possiamo essere un po’ lunatici. Tutti questi sentimenti e comportamenti sono indotti dalle citochine! Infatti, oltre a coordinare la lotta contro le infezioni nella periferia del corpo, le citochine agiscono anche nel cervello e inducono cambiamenti comportamentali (4). Tutti questi cambiamenti comportamentali sono adattivi, con lo scopo di limitare la diffusione dell’infezione e consentire al corpo di risparmiare energia per combattere l’infezione invece di, diciamo, uscire a fare festa con gli amici.

Tuttavia, gli effetti comportamentali delle citochine non sono sempre benefici. Quando il segnale delle citochine è troppo forte o dura a lungo, come nei malati di cancro durante il trattamento con citochine, questi effetti possono diventare disadattivi e portare ad alterazioni comportamentali croniche e patologiche, come la depressione (5). L’infiammazione è quindi (si ipotizza che) un contributo alla depressione (4). Una differenza fondamentale tra l’infezione o la terapia del cancro e la maggior parte dei casi di depressione è, tuttavia, il livello di produzione di fattori infiammatori. I livelli di citochine sono alti durante l’immunoterapia, cioè “infiammazione”, mentre la depressione è caratterizzata da uno stato di “infiammazione di basso grado”.

La percentuale di soggetti che soffrono di depressione è più alta in condizioni caratterizzate da infiammazione di basso grado rispetto alla popolazione generale. Ad esempio, dal 20 al 30% degli individui obesi soffre di depressione mentre la prevalenza nella popolazione generale è del 5-10% (6). Mentre è molto probabile che i fattori psicologici siano coinvolti, noi e altri indaghiamo sulla possibilità che l’infiammazione di basso grado contribuisca a questa vulnerabilità psichiatrica (7). In particolare, abbiamo dimostrato che l’infiammazione di basso grado è associata a cambiamenti comportamentali negli individui obesi, come la stanchezza (8) o le funzioni cognitive alterate (9). Un’interpretazione di questa relazione è che la produzione di fattori infiammatori in uno stato di basso grado può essere sufficiente a indurre alterazioni comportamentali e quindi potrebbe essere un fattore che partecipa alla vulnerabilità alla depressione.

Infiammazione di basso grado e dolore cronico

L’associazione tra infiammazione di basso grado e alterazioni comportamentali ha indotto il team del Behavioral Medicine Pain Treatment Service presso l’ospedale universitario Karolinska di Stoccolma (Svezza) a chiedersi se l’infiammazione di basso grado possa modulare l’efficacia dei trattamenti comportamentali per il dolore cronico. Le strategie cognitive e comportamentali sono infatti gli obiettivi dei trattamenti comportamentali per il dolore cronico e l’infiammazione di basso grado potrebbe prevenire gli effetti di tali trattamenti.

In collaborazione con questo gruppo, abbiamo dimostrato che i risultati del trattamento sono migliorati nei pazienti con dolore cronico e bassi livelli di fattori infiammatori, mentre i pazienti con “infiammazione di basso grado”, cioè con livelli più elevati di marcatori infiammatori ma ancora nell’intervallo sano, hanno mostrato meno miglioramenti (10).

Sebbene questo studio sia stato solo esplorativo, i risultati suggeriscono che l’infiammazione di basso grado può promuovere uno stato di resistenza al trattamento comportamentale per il dolore cronico e dare una potenziale spiegazione per quanto riguarda i pazienti non rispondenti.

Informazioni su Julie Lasselin

La dottoressa Julie Lasselin è una “psiconeuroimmunologa”, che conduce ricerche che valutano le relazioni tra il cervello e il sistema immunitario. Ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2012 presso NutriNeuro a Bordeaux, in Francia. Ha poi lavorato come post-dottorato presso il Dipartimento di Neuroscienze Cliniche (Divisione di Psicologia), Karolinska Institute e presso lo Stress Research Institute, Università di Stoccolma a Stoccolma, Svezia. Julie è attualmente un post-dottorato presso l’Istituto di Psicologia Medica e Immunobiologia Comportamentale di Essen, in Germania, ed è affiliata all’Istituto Karolinska e all’Università di Stoccolma. La sua ricerca si concentra sul contributo dell’infiammazione sullo sviluppo di sintomi neuropsichiatrici in popolazioni vulnerabili, come i pazienti affetti da obesità e diabete di tipo 2. Svolge sia studi osservazionali clinici che studi sperimentali utilizzando il modello di somministrazione di lipopolisaccaride (un componente del guscio batterico) nell’uomo. Valuta anche più specificamente il ruolo dell’infiammazione nella fatica e nei cambiamenti motivazionali, due sintomi che sono altamente sensibili all’infiammazione e possono spiegare la vulnerabilità psichiatrica dei pazienti obesi.

Riferimenti

1. Wellen, K.E. e G.S. Hotamisligil, cambiamenti infiammatori indotti dall’obesità nel tessuto adiposo. J Clin Invest, 2003. 112:1785-8.

2. Dantzer, R., Depressione e infiammazione: una relazione intricata. Psichiatria biologica, 2012. 71: pag. 4-5.

3. Parkitny, L., et al., Infiammazione nella sindrome del dolore regionale complesso: una revisione sistematica e una meta-analisi. Neurologia, 2013. 80:106-17.

4. Dantzer, R., et al., Dall’infiammazione alla malattia e alla depressione: quando il sistema immunitario soggioga il cervello. Nat Rev Neurosci, 2008. 9:46-56.

5. Capuron, L. e A.H. Miller, Sistema immunitario alla segnalazione cerebrale: implicazioni neuropsicofarmacologiche. Pharmacol Ther, 2011. 130:226-38.

6. Evans, D.L., et al., Disturbi dell’umore nei malati medici: revisione scientifica e raccomandazioni. Psichiatria biologica, 2005. 58:175-89.

7. Capuron, L., J. Lasselin e N. Castanon, ruolo dell’infiammazione guidata dall’obesità nella morbilità depressiva. Neuropsicofarmacologia, 2016 (in stampa).

8. Lasselin, J., et al., I sintomi di stanchezza si riferiscono all’infiammazione sistemica nei pazienti con diabete di tipo 2. Brain Behav Immun, 2012. 26:1211-9.

9. Lasselin, J., et al., L’infiammazione di basso grado è uno dei principali contributori allo spostamento del set di attenzione compromesso nei soggetti obesi. Immune al comportamento cerebrale, 2016. 58:63-68.

10. Lasselin, J., et al., L’infiammazione di basso grado può moderare l’effetto del trattamento comportamentale per il dolore cronico negli adulti. J Behav Med, 2016. 39:916-24.

Emulsionanti e Idrocolloidi

by luciano

Premessa

Gli idrocolloidi e gli emulsionanti sono entrambi additivi alimentari, ma hanno funzioni diverse. Gli idrocolloidi sono sostanze che addensano, gelificano o stabilizzano alimenti, mentre gli emulsionanti aiutano a miscelare sostanze immiscibili come olio e acqua.

Idrocolloidi
Sono sostanze che, in soluzione acquosa, formano un sistema colloidale, aumentando la viscosità o formando gel.
La loro funzione principale è quella di modificare la consistenza degli alimenti, rendendoli più densi, cremosi o gelatinosi.
Possono anche stabilizzare le emulsioni o le sospensioni, impedendo la separazione delle fasi.
Alcuni esempi di idrocolloidi: agar-agar, amidi modificati, beta-glucani, carragenine, pectina, semi di carruba, fibre di bambù, fibre di patata, fibre di pisello, gelatine, gomma arabica, gomma xantana, guar, inulina. In quali prodotti è più facile trovarli: prodotti da forno e da pasticceria, biscotti, gelati, yogurt, bevande sportive (in particolare maltodestrine).

Emulsionanti:
Sono molecole che hanno una parte idrofoba (amante del grasso) e una parte idrofila (amante dell’acqua).
Questa struttura permette loro di stabilizzare le emulsioni, ovvero miscele di liquidi immiscibili come olio e acqua.
Gli emulsionanti si dispongono tra le due fasi, riducendo la tensione superficiale e prevenendo la separazione.
Esempi comuni includono lecitina, mono e digliceridi degli acidi grassi e polisorbatati.
In sintesi, mentre gli idrocolloidi modificano la consistenza generale di un alimento, gli emulsionanti lavorano specificamente per mantenere stabili le emulsioni, evitando la separazione di olio e acqua. Alcuni idrocolloidi, come la lecitina, possono anche avere proprietà emulsionanti.

Emulsionanti

In evidenza 
Un recente studio, pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha valutato per la prima volta l’associazione tra emulsionanti e rischio di sviluppare diabete di tipo 2

I – Emulsionanti e rischio diabete: lo studio di Lancet
Dopo essere stati accusati di contribuire al rischio di obesità, cancro e malattie cardiovascolari, un’analisi recente condotta sullo studio prospettico di coorte NutriNet Santé li identifica come fattori che aumentano il rischio di diabete di tipo 2.
Sebbene le Autorità Sanitarie considerino sicuro il loro uso in quantità definite, basandosi su criteri di citotossicità e genotossicità, di recente stanno emergendo prove dei loro effetti negativi sul microbiota intestinale, che a sua volta innescano infiammazione e alterazioni metaboliche.
Un recente studio, pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha valutato per la prima volta l’associazione tra emulsionanti e rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Gli Autori hanno analizzato i dati di oltre 104 mila adulti arruolati dal 2009 al 2023 a cui è stato chiesto di compilare registri dietetici di 24 ore ogni 6 mesi. L’obiettivo era valutare l’esposizione agli emulsionanti.
L’1% del campione, ha sviluppato diabete di tipo 2 durante il follow up di 6-8 anni.
Dei 61 additivi identificati, sono sette gli emulsionanti ‘attenzionati’ associati a un potenziale aumento del rischio di diabete (occhi, quindi, alle etichette!):
E407 (carragenine totali);
E340 (esteri di poliglicerolo);
E472e (esteri di acidi grassi);
E331 (citrato di sodio);
E412 (gomma di guar);
E414 (gomma arabica);
E415 (gomma di xantano);
oltre ad un gruppo chiamato ‘carragenine’.
Gli additivi emulsionanti sono stati assunti nel 5% da frutta e verdure ultra lavorate (come verdure in scatola e frutta sciroppata), nel 14.7% da torte e biscotti, nel 10% da prodotti lattiero-caseari.
Tre conseguenze sottolineate dal prof. Angelo Avogaro, Presidente SID
1. La necessità di contenere il consumo di cibi ultra-processati;
2. l’appello a una maggiore attenzione alle etichette;
3. la necessità di chiedere una regolamentazione più stringente allo scopo di proteggere i consumatori.
“Sebbene siano necessari ulteriori studi a lungo termine, le alterazioni del microbiota intestinale, fanno ritenere che potrebbe essere necessario rivedere gli RDA (Recommended Daily Allowance, livelli giornalieri di assunzione). Precedenti prove che legavano l’assunzione di carragenina all’infiammazione intestinale hanno portato l’JECFA a limitarne l’uso nelle formule e negli alimenti per neonati. Stiamo assistendo a un preoccupante aumento del diabete di tipo 2 anche tra bambini e adolescenti” sottolinea la Prof.ssa Raffaella Buzzetti, Presidente eletto SID.
References
Cosa sono gli emulsionanti e quali sono gli esempi comuni di tali sostanze utilizzate negli alimenti?
Food additive emulsifiers and the risk of type 2 diabetes: analysis of data from the NutriNet-Santé prospective cohort study. The Lancet Diabete and Endocrinology, volume 12, issue 5, p339-349, May 2024.

L – Abstract.
Background: Epidemiologic evidence and animal studies implicate dietary emulsifiers in contributing to the increased prevalence of diseases associated with intestinal inflammation, including inflammatory bowel diseases and metabolic syndrome. Two synthetic emulsifiers in particular, carboxymethylcellulose and polysorbate 80, profoundly impact intestinal microbiota in a manner that promotes gut inflammation and associated disease states. In contrast, the extent to which other food additives with emulsifying properties might impact intestinal microbiota composition and function is not yet known.
….omissis. Conclusions: These results indicate that numerous, but not all, commonly used emulsifiers can directly alter gut microbiota in a manner expected to promote intestinal inflammation. Moreover, these data suggest that clinical trials are needed to reduce the usage of the most detrimental compounds in favor of the use of emulsifying agents with no or low impact on the microbiota. Direct impact of commonly used dietary emulsifiers on human gut microbiota. Sabrine Naimi. https://doi.org/10.1186/s40168-020-00996-6.

M- …………omissis. We found dietary emulsifiers to significantly alter human gut microbiota toward a composition and functionality with potentially higher pro-inflammatory properties. While donor-dependent differences in microbiota response were observed, our in vitro experimental setup showed these effects to be primarily emulsifierdependent. Rhamnolipids and sophorolipids had the strongest impact with a sharp decrease in intact cell counts, an increased abundance in potentially pathogenic genera-like Escherichia/Shigella and Fusobacterium, a decreased abundance of beneficial Bacteroidetes and Barnesiella, and a predicted increase in flagellar assembly and general motility. The latter was not substantiated through direct measurements, though. The effects were less pronounced for soy lecithin, while chemical emulsifiers P80 and CMC showed the smallest effects. Short chain fatty acid production, with butyrate production, in particular, was also affected by the respective emulsifiers, again in an emulsifier‐ and donordependent manner.

….omissis. One of the most profound impacts of emulsifier treatment toward gut microbiota was the decline in intact microbial cell counts. The degree of microbiome elimination in this study seems comparable to what has been observed for antibiotic treatments (Francino, 2016; Guirro et al., 2019). Since antibiotics are considered detrimental for gut ecology, this may serve as a warning sign with respect to emulsifier usage. Emulsifiers also act as surfactants, which are known for their membrane solubilizing properties (Jones, 1999). The fact that the observed decline in microbial viability was dependent on emulsifier dose and on the emulsifying potential of the supplemented compound, as measured by the aqueous surface tension reduction (Table 1), leads us to conclude that the dietary emulsifiers attack the bacterial cells principally at the level of the cell membrane.

………….omissis. A last important element in the putative health impact from dietary emulsifiers concern’s interindividual variability. An individual’s unique microbiota and metabolism are important determinants of the potential health effects dietary emulsifiers could cause. While the overall effects from the different emulsifiers toward microbiota composition and functionality were quite consistent in our study, important interindividual differences in susceptibility of the microbiota were noted. Understanding what underlying factors and determinants drive this interindividual variability will be crucial to future health risk assessment of novel and existing dietary emulsifiers.

N – Common dietary emulsifiers promote metabolic disorders and intestinal microbiota dysbiosis in mice. Suraphan Panyod et al. 2024 https://doi.org/10.1038/s42003-024-06224-3.

Dietary emulsifiers are linked to various diseases. The recent discovery of the role of gut microbiota–host interactions on health and disease warrants the safety reassessment of dietary emulsifiers through the lens of gut microbiota. Lecithin, sucrose fatty acid esters, carboxymethylcellulose (CMC), and mono- and diglycerides (MDG) emulsifiers are common dietary emulsifiers with high exposure levelsin the population. This study demonstrates that sucrose fatty acid esters and carboxymethylcellulose induce hyperglycemia and hyperinsulinemia in a mouse model. Lecithin, sucrose fatty acid esters, and CMC disrupt glucose homeostasis in the in vitro insulinresistance model. MDG impairs circulating lipid and glucose metabolism. All emulsifiers change the intestinal microbiota diversity and induce gut microbiota dysbiosis. Lecithin, sucrose fatty acid esters, and CMC do not impact mucus–bacterial interactions, whereas MDG tends to cause bacterial encroachment into the inner mucus layer and enhance inflammation potential by raising circulating lipopolysaccharide. Our findings demonstrate the safety concerns associated with using dietary emulsifiers, suggesting that they could lead to metabolic syndromes.

M – Abstract Objective Carboxymethylcellulose (CMC), one of the most common emulsifiers used in the food industry, has been reported to promote chronic inflammatory diseases, but its impact on acute inflammatory diseases, e.g., acute pancreatitis (AP), remains unclear. This study investigates the detrimental effects of CMC on AP and the potential for mitigation through Akkermansia muciniphila or butyrate supplementation.

Design C57BL/6 mice were given pure water or CMC solution (1%) for 4 weeks and then subjected to caeruleininduced AP. The pancreas, colon, and blood were sampled for molecular and immune parameters associated with AP severity. Gut microbiota composition was assessed using 16S rRNA gene amplicon sequencing. Fecal microbiota transplantation (FMT) was used to illustrate gut microbiota’s role in mediating the effects of CMC on host mice. Additional investigations included single-cell RNA sequencing, monocytes-specific C/EBPδ knockdown, LPS blocking, fecal short-chain fatty acids (SCFAs) quantification, and Akkermansia muciniphila or butyrate supplementation. Finally, the gut microbiota of AP patients with different severity was analyzed.
Results CMC exacerbated AP with gut dysbiosis. FMT from CMC-fed mice transferred such adverse effects to recipient mice, while single-cell analysis showed an increase in classical monocytes in blood. LPS-stimulated C/EBPδ, caused by an impaired gut barrier, drives monocytes towards classical phenotype. LPS antagonist (eritoran), Akkermansia muciniphila or butyrate supplementation ameliorates CMC-induced AP exacerbation. Fecal Akkermansia muciniphila abundance was negatively correlated with AP severity in patients.
Dietary emulsifier carboxymethylcellulose-induced gut dysbiosis and SCFA reduction aggravate acute pancreatitis through classical monocyte activation. Feng et al. Microbiome (2025) 13:83 https://doi.org/10.1186/s40168-025-02074-1

NOTA

L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha stabilito che i prodotti che riportano i claim sui benefici dell’idrossipropilmetilcellulosa devono riportare anche l’avvertimento della possibilità di soffocamento in caso di difficoltà di deglutizione o se ingeriti con una quantità di fluidi insufficienti. Per questi motivi è importante assumere l’idrossipropilmetilcellulosa insieme ad acqua abbondante, in modo da assicurarsi che raggiunga lo stomaco. L’idrossipropilmetilcellulosa E464 svolge diversi compiti, principalmente è usato come agente addensante, fibra alimentare, agente anti-aggregante e filmogeno. È simile alla cellulosa, ma presenta una migliore solubilità in acqua. Trova impiego nelle farine e nei prodotti gluten-free dove viene impiegata per migliorare le caratteristiche reologiche degli impasti e quelle organolettiche dei prodotti per celiaci.

In sintesi
Emulsifiers and microbiome
some studies suggest that certain emulsifiers can promote gut dysbiosis, an imbalance in the gut microbiome. This can lead to inflammation and potentially contribute to metabolic disorders and other health issues.
Here’s a more detailed explanation:
Emulsifiers and Gut Microbiota:
Emulsifiers are substances that help mix liquids that don’t normally combine, like oil and water. They are commonly found in processed foods. Research indicates that some emulsifiers can alter the composition and function of gut bacteria.
How Emulsifiers Might Cause Dysbiosis:
Increased Permeability: Emulsifiers may increase the permeability of the intestinal barrier, allowing bacteria and their byproducts to leak into the bloodstream.
Changes in Bacterial Populations: Some emulsifiers have been shown to decrease the diversity of gut bacteria and increase the abundance of certain bacteria linked to inflammation.
Metabolic Impacts: These changes in the gut microbiome can contribute to metabolic disorders like obesity, insulin resistance, and inflammation.
Examples of Emulsifiers:
Studies have focused on emulsifiers like polysorbate 80 (P80) and carboxymethylcellulose (CMC), finding that they can disrupt the gut barrier and promote inflammation.
Implications for Health:
Gut dysbiosis, particularly when influenced by emulsifiers, has been linked to conditions like metabolic syndrome, inflammatory bowel disease, and other chronic inflammatory diseases.
It’s important to note:
The effects of emulsifiers on the gut microbiome can vary depending on the specific emulsifier, the individual’s microbiome, and other dietary factors.
More research is needed to fully understand the long-term effects of emulsifier consumption on human health.
Some emulsifiers, like mono- and diglycerides, have been associated with negative health outcomes, while others, like inulin, may help to restore a healthy gut microbiome.

Idrocolloidi ed emulsionanti alimentari

by luciano

Premessa
Gli idrocolloidi e gli emulsionanti sono entrambi additivi alimentari, ma hanno funzioni diverse. Gli idrocolloidi sono sostanze che addensano, gelificano o stabilizzano alimenti, mentre gli emulsionanti aiutano a miscelare sostanze immiscibili come olio e acqua.

Idrocolloidi
Sono sostanze che, in soluzione acquosa, formano un sistema colloidale, aumentando la viscosità o formando gel.
La loro funzione principale è quella di modificare la consistenza degli alimenti, rendendoli più densi, cremosi o gelatinosi.
Possono anche stabilizzare le emulsioni o le sospensioni, impedendo la separazione delle fasi.
Alcuni esempi di idrocolloidi: agar-agar, amidi modificati, beta-glucani, carragenine, pectina, semi di carruba, fibre di bambù, fibre di patata, fibre di pisello, gelatine, gomma arabica, gomma xantana, guar, inulina. In quali prodotti è più facile trovarli: prodotti da forno e da pasticceria, biscotti, gelati, yogurt, bevande sportive (in particolare maltodestrine).

Emulsionanti:
Sono molecole che hanno una parte idrofoba (amante del grasso) e una parte idrofila (amante dell’acqua).
Questa struttura permette loro di stabilizzare le emulsioni, ovvero miscele di liquidi immiscibili come olio e acqua.
Gli emulsionanti si dispongono tra le due fasi, riducendo la tensione superficiale e prevenendo la separazione.
Esempi comuni includono lecitina, mono e digliceridi degli acidi grassi e polisorbatati.
In sintesi, mentre gli idrocolloidi modificano la consistenza generale di un alimento, gli emulsionanti lavorano specificamente per mantenere stabili le emulsioni, evitando la separazione di olio e acqua. Alcuni idrocolloidi, come la lecitina, possono anche avere proprietà emulsionanti.

Idrocolloidi

A – Gli idrocolloidi permettono di ottenere prodotti con lunga shelf life, inserimento di farine integrali e fibre, l’assenza di grassi trans e non ultimo l’assenza di glutine. Gli idrocolloidi sono molecole in grado di legare acqua in grandi quantità; tra i più usati nei prodotti da forno vi sono la gomma di xantano, la pectina, le cellulose modificate e i frutto- e galatto-oligosaccaridi. Alcune di queste sostanze sono considerate fibre alimentari, in grado di stimolare il senso di sazietà e avere effetti positivi sulla funzionalità intestinale. Spesso gli idrocolloidi ottengono il loro effetto tecnologico-funzionale nel prodotto anche se aggiunti agli impasti in piccole quantità, per esempio minori dell’1% del totale degli ingredienti in polvere. Negli impasti di pane e altri prodotti da forno gli idrocolloidi aiutano, in fase produttiva, a migliorare la lavorabilità dell’impasto grazie all’effetto di rapida ed uniforme idratazione dello stesso. Il volume, la struttura e la sofficità dei prodotti finiti sono migliorati. La fragilità è minore, per esempio nel caso di prodotti da forno “spumosi” con elevata presenza di bolle d’aria o presenza di pezzi in sospensione (cioccolato, frutta o frutta secca): tali bolle o pezzi sono stabilizzati all’interno del sistema grazie agli idrocolloidi. In fase di conservazione, poi, c’è un aumento della shelf life dei prodotti grazie al mantenimento di sofficità per tempi più prolungati: la differenza rispetto ai prodotti privi di idrocolloidi è tanto più evidente con il passare del tempo. Pare, infine, che la presenza di idrocolloidi sia anche in grado di influenzare le dimensioni dei cristalli di ghiaccio all’interno degli impasti per pane o altri prodotti semicotti durante la loro surgelazione, permettendo di ottenere un prodotto scongelato di migliore qualità (Riferimento H1) .
……..Omissis
Ci sono operazioni unitarie che sono di difficile attuazione per alimenti che non prevedono l’uso di glutine, come per esempio le fasi di estrusione, trafilatura o laminazione che avvengono nella pasta oppure in alcuni prodotti da forno: le sollecitazioni che avvengono in queste fasi necessitano di elasticità da parte dell’impasto, pertanto sono fondamentali formulazioni in grado di sostenere il processo in continuo di un impianto magari pre-esistente (Riferimento H2) .
………Omissis
Se si confrontano dei cracker senza glutine, si riscontrano formulazioni estremamente semplici, con farine di mais e riso, ed altre più complesse, con l’aggiunta di fecola di patate, destrosio, emulsionanti ed addensanti. Dal punto di vista nutrizionale, è chiaro che l’alimento potrebbe risultare, rispetto al medesimo prodotto convenzionale, maggiormente ricco di zuccheri ed in parte di grassi. Il pane in cassetta, più difficile da realizzare in quanto lievitato, mostra formulazioni piuttosto complesse a base di mais, riso o grano saraceno, amidi, fibre vegetali, proteine, zuccheri, addensanti (tra cui idrocolloidi), emulsionanti, acidificanti. Tale ricettazione implica, a livello nutrizionale, o un aumento di carboidrati di circa il 10- 15% rispetto al prodotto convenzionale della medesima categoria oppure un aumento di grassi, soprattutto saturi, di circa il 30-50% (Riferimento H3).
Nel campo dolciario, le considerazioni sono più o meno le medesime, in quanto a livello nutrizionale, rispetto ai prodotti convenzionali, permangono valori più elevati di carboidrati, soprattutto zuccheri, e grassi, principalmente saturi, per sopperire alla carenza di viscoelasticità della parte proteica. Prodotti e tecnologie per alimenti senza glutine. Macchine alimentari – Anno XVII -1 – Genn. Feb 2015

B – L’industria alimentare si è impegnata a offrire ai consumatori proprietà reologiche di alta qualità insieme a prodotti alimentari sani e nutrienti (Goff & Guo, 2019; Manzoor, Singh, Bandral, Gani e Shams, 2020). Di conseguenza, negli ultimi anni si è assistito a un ampio utilizzo di idrocolloidi alimentari nella formulazione/riformulazione di diverse categorie alimentari, nella produzione di alimenti funzionali e in iniziative di innovazione (Manzoor et al., 2020). Gli idrocolloidi alimentari sono considerati componenti alimentari cruciali grazie ai loro miglioramenti in termini di viscosità, gelificazione e addensamento, migliorando la reologia e le proprietà sensoriali degli alimenti (Saha & Bhattacharya, 2010; Goff & Guo, 2019). I termini gomma e mucillagine possono anche essere usati raramente come sinonimi di idrocolloidi. Indipendentemente da come siano chiamati, questi ingredienti sono generalmente presenti in applicazioni industriali come miglioratori di viscosità, emulsionanti, agenti di rivestimento, gelificanti, agenti stabilizzanti e fornitori di stabilità termodinamica (Goff & Guo, 2019; Maity, Saxena e Raju, 2018; Manzoor et al., 2020) (Fig. 1). Trovano applicazione funzionale principalmente in prodotti alimentari, tra cui dolciumi (agenti di rivestimento, testurizzanti), bevande specifiche (emulsionanti), prodotti lattiero-caseari (addensanti e stabilizzanti), pasticceria (agenti di carica, miglioratori della qualità sensoriale e della conservabilità), frutta e verdura surgelate (crioprotettore) (Maity et al., 2018; Salehi, 2020; Viebke, Al-Assaf e Phillips, 2014). Recentemente, gli idrocolloidi alimentari hanno raggiunto un’avanguardia grazie ai loro vantaggi per la salute e alle rilevanti applicazioni farmaceutiche, oltre che alimentari. Inoltre, sono stati studiati i possibili effetti sulla salute e i meccanismi del loro apporto alimentare.
La letteratura recente ha indicato che gli idrocolloidi alimentari svolgono ruoli cruciali sul microbiota intestinale a causa delle loro diverse proprietà fisico-chimiche o strutturali (Tan & Nie, 2021). Alcuni di questi ruoli importanti sono i loro impatti prebiotici, stimolando la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), riducendo il disagio gastrointestinale oltre a preservare la normale funzione intestinale (Marciani et al., 2019; Viebke et al., 2014; Williams & Phillips, 2021, pp. 3–26), un aumento della viscosità all’interno del lume intestinale, una riduzione o un aumento dell’assorbimento di alcuni nutrienti (Nybroe et al., 2016), un colesterolo più basso (Manzoor et al., 2020; McClements, 2021), un calo dell’iperglicemia (Lu, Li e Fang, 2021) nonché una normale regolazione del peso corporeo (Johansson, Andersson, Alminger, Landberg e Langton, 2018; Viebke et al., 2014). Inoltre, la ricerca sugli idrocolloidi e sulla modulazione intestinale sembra diffondersi giorno dopo giorno grazie alle tecnologie multi-omiche all’avanguardia e all’analisi dettagliata del microbioma umano. Questo articolo fornisce una panoramica completa su specifici idrocolloidi alimentari, in particolare quelli che hanno la struttura dei polisaccaridi nella modulazione intestinale, e sulle loro potenziali interazioni con la nutrizione e la salute. A comprehensive review on food hydrocolloids as gut modulators in the food matrix and nutrition: The hydrocolloid-gut-health axis. al. 2023. https://doi.org/10.1016/j.foodhyd.2023.10906
C – Hydrocolloids also modulate gut microbiota, offering various health benefits. Certain hydrocolloids, such as inulin and pectin, act as prebiotics, promoting beneficial gut bacteria growth and influencing microbiota composition and diversity (Bouillon et al., 2022; Gularte & Rosell, 2011).

D – Gli idrocolloidi sono polimeri idrofili a catena lunga utilizzati nei sistemi alimentari per addensare, gelificare e stabilizzare. Influenzano significativamente la retrogradazione, l’idrolisi dell’amido e la modulazione del microbiota intestinale, con effetti sia positivi che negativi. Questi effetti dipendono da fattori quali il tipo di idrocolloide, la concentrazione, le interazioni con l’amido e le condizioni ambientali come la temperatura e i metodi di lavorazione. Alcuni idrocolloidi inibiscono la retrogradazione dell’amido interrompendo la ricristallizzazione dell’amilosio, mentre altri la promuovono in determinate condizioni. Possono anche alterare l’idrolisi dell’amido modificando l’accessibilità degli enzimi ai granuli di amido, rallentando o accelerando la digestione. Inoltre, gli idrocolloidi agiscono come fibre fermentabili, favorendo la crescita di batteri intestinali benefici, che possono influenzare i processi metabolici. Nonostante i progressi significativi, la complessità di queste interazioni rimane incompleta, poiché gli effetti variano a seconda della composizione del microbiota individuale. Questa revisione esplora i meccanismi attraverso i quali gli idrocolloidi modulano i comportamenti dell’amido e il microbiota intestinale, sintetizzando la letteratura attuale e identificando le direzioni future della ricerca per colmare le lacune di conoscenza esistenti.
………Omissis. Nei sistemi alimentari, gli idrocolloidi influenzano la retrogradazione dell’amido, l’idrolisi dell’amido e la modulazione del microbiota intestinale, fattori essenziali sia per la qualità del cibo sia per la salute umana.
……….Omissis. Diversi idrocolloidi, tra cui gomma xantana, pectina, β-glucano e glucomannano di konjac, influenzano l’idrolisi dell’amido e ne riducono la digeribilità. I loro effetti dipendono dalla struttura molecolare, dalla fonte, dalla concentrazione, dalle interazioni con l’amido e dalle condizioni di lavorazione (Ma et al., 2024). Aumentando la viscosità delle matrici a base di amido, gli idrocolloidi creano una rete di gel resistente, rallentando la degradazione enzimatica dell’amido nel tratto gastrointestinale. Questa idrolisi ritardata si traduce in un rilascio controllato di glucosio e in una minore risposta glicemica postprandiale (Bae & Lee, 2018; Bellanco et al., 2024). Di conseguenza, gli idrocolloidi hanno il potenziale per migliorare il controllo glicemico e ridurre il rischio di disturbi metabolici come il diabete di tipo 2. Yassin et al. (2022) hanno riportato che l’incorporazione di gomma xantana, lambda-carragenina o buccia di psillio (1-5% p/p del peso della farina) nel pane bianco ha ridotto significativamente la potenza glicemica, con la buccia di psillio al 5% p/p che ha esercitato l’effetto più forte. Analogamente, Mæhre et al. (2021) hanno scoperto che il pane bianco fortificato con gomma di guar ha ridotto le risposte glicemiche postprandiali.
Gli idrocolloidi modulano anche il microbiota intestinale, offrendo diversi benefici per la salute. Alcuni idrocolloidi, come inulina e pectina, agiscono come prebiotici, promuovendo la crescita dei batteri intestinali benefici e influenzando la composizione e la diversità del microbiota (Bouillon et al., 2022; Gularte & Rosell, 2011). I loro effetti prebiotici dipendono dalle proprietà fisico-chimiche, con variazioni della struttura polimerica e della fonte che influenzano i risultati sulla salute intestinale (Ağagündüz et al., 2023). I benefici segnalati includono una migliore digestione, un potenziamento della funzione immunitaria e una riduzione dell’infiammazione, sebbene permangano incongruenze in letteratura riguardo all’entità e ai meccanismi di questi effetti (Zhang et al., 2023). Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno sia i vantaggi che i potenziali limiti delle applicazioni degli idrocolloidi per la salute intestinale. Questa revisione fornisce un’analisi approfondita degli effetti degli idrocolloidi sulla retrogradazione dell’amido, sulla digeribilità e sul microbiota intestinale, affrontando sia i risultati positivi che quelli negativi e mira a informare sullo sviluppo di alimenti funzionali con migliori benefici per la salute. The multifunctional role of hydrocolloids in modulating retrogradation, starch hydrolysis, and the gut microbiota. Xikun Lu et al. Food Chemistry
Volume 489, 15 October 2025, 144974.

Approfondimento
Hydrocolloids are a diverse group of hydrophilic long-chain polymers, primarily polysaccharides and certain proteins, known for their gelling, thickening, and stabilizing properties in various industries, particularly food production (Cevoli et al., 2013). Their ability to disperse in water is attributed to numerous hydroxyl (–OH) groups, which enhance interactions in aqueous environments. Hydrocolloids are classified based on their sources, structural characteristics (linear or branched), charge properties (neutral, negative, or positive), and functional roles such as gelling, thickening, and adhesion (Kraithong, Theppawong, et al., 2023). Beyond food applications, they are widely used in pharmaceuticals, cosmetics, coatings, and packaging, contributing to rheological and structural modifications (Pegg, 2012). In food systems, hydrocolloids influence starch retrogradation, starch hydrolysis, and gut microbiota modulation, which are critical for both food quality and human health. Retrograded starch, or resistant starch type 3 (RS3), forms through the recrystallization of gelatinized starch, creating a structured crystalline network (Han et al., 2024). RS3 formation is primarily influenced by amylose content, as amylose rearranges more readily than amylopectin, and by water content, with optimal recrystallization occurring between 20 and 90 % moisture (Han et al., 2024). Lipids and proteins also impact starch retrogradation, as lipid-amylose complexes limit amylose availability for crystallization, while proteins influence water distribution and create physical barriers that hinder retrogradation (Liu et al., 2024). Hydrocolloids modify RS3 formation by altering starch structure and water interactions. Galactomannans such as guar gum, tara gum, locust bean gum, and konjac glucomannan enhance short-term retrogradation, typically within one day, by increasing amylose concentration in the continuous phase (Funami et al., 2005; Funami et al., 2008). However, these hydrocolloids may also reduce the gelled fraction of amylose by decreasing amylose leaching during gelatinization. Additionally, they may inhibit long-term retrogradation by preventing amylose crystallization and its co-crystallization with amylopectin while enhancing water retention within the starch matrix. Controlling water mobility and distribution is crucial in mitigating starch retrogradation. (Funami et al. 2005). The multifunctional role of hydrocolloids in modulating retrogradation, starch hydrolysis, and the gut microbiota. Xikun Lu et al. Food Chemistry Volume 489, 15 October 2025, 144974.

E – La carragenina (CGN).
La carragenina (CGN) è un polisaccaride ad alto peso molecolare estratto da alghe rosse, composto da residui di D-galattosio legati con legami galattosio-galattosio β-1,4 e α-1,3, ampiamente utilizzato come additivo alimentare negli alimenti trasformati per le sue proprietà di addensante, gelificante, emulsionante e stabilizzante. Negli ultimi anni, con la diffusione della dieta occidentale (WD), il suo consumo è aumentato. Ciononostante, è in corso un dibattito sulla sua sicurezza. La CGN è ampiamente utilizzata come agente infiammatorio e adiuvante in vitro e in modelli sperimentali animali per lo studio dei processi immunitari o per valutare l’attività di farmaci antinfiammatori. La CGN può attivare le vie immunitarie innate dell’infiammazione, alterare la composizione del microbiota intestinale e lo spessore della barriera mucosa. Evidenze cliniche suggeriscono che la carragenina (CGN) sia coinvolta nella patogenesi e nella gestione clinica delle malattie infiammatorie intestinali (MICI); le diete di esclusione alimentare possono infatti rappresentare una terapia efficace per la remissione della malattia. Inoltre, la presenza di IgE specifiche per l’oligosaccaride α-Gal è stata associata a reazioni allergiche comunemente note come “sindrome α-Gal”. Questa revisione si propone di discutere il ruolo della carragenina nelle malattie infiammatorie intestinali e nelle reazioni allergiche alla luce delle attuali evidenze. Inoltre, poiché non sono disponibili dati definitivi sulla sicurezza e sugli effetti della CGN, suggeriamo di colmare alcune lacune e consigliamo di limitare l’esposizione umana alla CGN riducendo il consumo di alimenti ultra-processati. The Role of Carrageenan in Inflammatory Bowel Diseases and Allergic Reactions: Where Do We Stand? Barbara Borsani et al. Nutrients 2021, 13, 3402. https://doi.org/10.3390/nu13103402.

F- Xanthan gum showed various positive effects on metabolism. Furthermore, xanthan gum is fermented by bacteria to produce SCFAs (Bourquin et al., 1996), and consumption of the food additive xanthan gum affected gut microbiome (Ostrowski et al., 2022).

G – While xanthan gum is generally considered safe, some individuals may experience allergic reactions. These reactions can range from mild to severe, and symptoms may include skin rashes, digestive issues, or respiratory problems. People with known allergies to wheat, corn, soy, or dairy may be more susceptible, as xanthan gum is often produced from these sources.
Here’s a more detailed breakdown:
What is Xanthan Gum?
Xanthan gum is a polysaccharide produced by fermenting the bacterium Xanthomonas campestris. It’s a common food additive used as a thickener, stabilizer, and emulsifier.
Potential Allergic Reactions:
Some individuals may experience allergic reactions to xanthan gum, even though it’s generally considered safe. These reactions are due to the body’s immune system mistakenly identifying xanthan gum as a harmful substance and producing IgE antibodies, which trigger histamine release.
Symptoms:
Allergic reactions can manifest in various ways, including:
Skin reactions like hives, rashes, or itching.
Gastrointestinal issues such as bloating, gas, or diarrhea.
Respiratory symptoms like sneezing, runny nose, or difficulty breathing.
Other symptoms like headaches, itchy or watery eyes, and scratchy throat.
Who is at Risk?
Individuals with known allergies to wheat, corn, soy, or dairy may be more likely to react to xanthan gum, as it’s often produced using these ingredients. Premature infants may also be at risk of complications from xanthan gum, particularly in formula or breast milk thickeners.
Testing:
Allergy tests, including IgE blood tests, can be used to detect xanthan gum allergies.

H – Hydrocolloids, while beneficial in many ways for gut health, also have limitations. They can potentially hinder nutrient absorption by forming a viscous barrier that slows down the release and diffusion of nutrients, digestive enzymes, and bile salts. Furthermore, the specific mechanisms of how hydrocolloids interact with the gut microbiome and the long-term health effects are not fully understood, which limits their widespread application, particularly in functional foods like yogurt.

Here’s a more detailed breakdown:
1. Hindered Nutrient Absorption:
Hydrocolloids can create a gel-like layer on the intestinal surface, which can physically block the contact between nutrients and the intestinal lining.
This barrier effect can reduce the rate at which nutrients, including those from supplements or fortified foods, are absorbed.
The increased viscosity caused by hydrocolloids can also slow down the diffusion of digestive enzymes and bile salts, further impacting nutrient digestion and absorption.
2. Microbiome Interactions:
Hydrocolloids can impact the composition and activity of the gut microbiome, sometimes leading to shifts in the balance of beneficial and harmful bacteria.
The effects on the microbiome are complex and depend on various factors, including the specific type of hydrocolloid, its concentration, and the individual’s gut microbiome composition.
While some hydrocolloids may act as prebiotics, promoting the growth of beneficia bacteria, others might have less desirable effects or their effects could vary greatly.
3. Limited Understanding of Mechanisms:
The precise mechanisms by which hydrocolloids influence gut health and nutrient absorption are not fully elucidated.
More research is needed to understand how different hydrocolloids interact with the gut and how they affect digestion, nutrient absorption, and the gut microbiome.
4. Variability in Effects:
The effects of hydrocolloids on gut health can vary depending on several factors, including the type of hydrocolloid, its molecular structure, concentration, and the specific conditions in the digestive tract.
For example, some hydrocolloids may promote resistant starch formation and reduce starch digestibility, while others may have the opposite effect under certain conditions.
5. Potential for Negative Effects:
While generally considered safe, some hydrocolloids, like carrageenan, have faced scrutiny due to potential inflammatory effects or the generation of pro-inflammatory oligosaccharides by gut bacteria.
It’s crucial to consider the potential for adverse effects and to choose hydrocolloids carefully, especially when developing functional foods or supplements.
In summary, while hydrocolloids offer promising avenues for improving gut health and developing functional foods, it’s essential to acknowledge their potential limitations and to conduct further research to fully understand their effects and optimize their application in various contexts.

Infiammazione intestinale di basso grado

by luciano

Infiammazione acuta
Infiammazione di basso grado (infiammazione cronica silente)

In evidenza
Importanza dell’ infiammazione di basso grado
Sebbene l’aumento intermittente dell’infiammazione sia fondamentale per la sopravvivenza durante lesioni fisiche e infezioni, recenti ricerche hanno rivelato che alcuni fattori sociali, ambientali e legati allo stile di vita possono favorire l’infiammazione cronica sistemica (SCI) che, a sua volta, può portare a diverse patologie che, nel loro insieme, rappresentano le principali cause di disabilità e mortalità in tutto il mondo, come malattie cardiovascolari, cancro, diabete mellito, malattia renale cronica, steatosi epatica non alcolica e malattie autoimmuni e neurodegenerative. Nella presente Prospettiva descriviamo i meccanismi multilivello alla base della SCI e diversi fattori di rischio che promuovono questo fenotipo dannoso per la salute, tra cui infezioni, inattività fisica, cattiva alimentazione, sostanze tossiche ambientali e industriali e stress psicologico. Inoltre, suggeriamo potenziali strategie per promuovere la diagnosi precoce, la prevenzione e il trattamento della SCI. Chronic inflammation in the etiology of disease across the life span. David Furman. 2020.

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Chronic inflammatory diseases are the most significant cause of death in the world. The World Health Organization (WHO) ranks chronic diseases as the greatest threat to human health. The prevalence of diseases associated with chronic inflammation is anticipated to increase persistently for the next 30 years in the United States. in 2000, nearly 125 million Americans were living with chronic conditions and 61 million (21%) had more than one. In recent estimates by Rand Corporation, in 2014 nearly 60% of Americans had at least one chronic condition, 42% had more than one and 12% of adults had 5 or more chronic conditions. Worldwide, 3 of 5 people die due to chronic inflammatory diseases like stroke, chronic respiratory diseases, heart disorders, cancer, obesity, and diabetes.

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Although intermittent increases in inflammation are critical for survival during physical injury and infection, recent research has revealed that certain social, environmental and lifestyle factors can promote systemic chronic inflammation (SCI) that can, in turn, lead to several diseases that collectively represent the leading causes of disability and mortality worldwide, such as cardiovascular disease, cancer, diabetes mellitus, chronic kidney disease, non-alcoholic fatty liver disease and autoimmune and neurodegenerative disorders. In the present Perspective we describe the multi-level mechanisms underlying SCI and several risk factors that promote this health-damaging phenotype, including infections, physical inactivity, poor diet, environmental and industrial toxicants and psychological stress. Furthermore, we suggest potential strategies for advancing the early diagnosis, prevention and treatment of SCI.

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L’infiammazione è una componente centrale dell’immunità innata (aspecifica). In termini generici, l’infiammazione è una risposta locale al danno cellulare caratterizzata da aumento del flusso sanguigno, dilatazione capillare, infiltrazione leucocitaria e produzione localizzata di una serie di mediatori chimici, che contribuiscono all’eliminazione degli agenti tossici e alla riparazione dei tessuti danneggiati(1). È ormai chiaro che la cessazione (in alternativa nota come risoluzione) dell’infiammazione è un processo attivo che coinvolge citochine e altri mediatori antinfiammatori, in particolare lipidi, piuttosto che una semplice interruzione delle vie pro-infiammatorie (2,3).
L’infiammazione agisce sia come “amica che come nemica”: è una componente essenziale dell’immunosorveglianza e della difesa dell’ospite, tuttavia uno stato infiammatorio di basso grado è una caratteristica patologica di un’ampia gamma di condizioni croniche, come la sindrome metabolica (SMet), la steatosi epatica non alcolica (NAFLD), il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) e le malattie cardiovascolari (CVD) (4,5). Sebbene l’associazione tra infiammazione e condizioni croniche sia ampiamente riconosciuta, la questione della causalità e il grado in cui l’infiammazione contribuisce e funge da fattore di rischio per lo sviluppo della malattia rimangono irrisolti. Come verrà discusso, parte di questa incertezza è dovuta a una generale mancanza di biomarcatori sensibili e specifici dell’infiammazione cronica di basso grado che possano essere utilizzati negli studi clinici (1). British Journal of Nutrition (2015), 114, 999–1012 doi:10.1017/S0007114515002093 q ILSI Europe 2015. Review Article Low-grade inflammation, diet composition and health: current research evidence and its translation.
Anne M. Minihane, Sophie Vinoyet al.
Nota
I numeri tra parentesi si riferiscono alle referenze riportate nello studio citato

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Infiammazione acuta
L’infiammazione acuta è la risposta rapida e a breve termine dell’organismo a lesioni o infezioni, caratterizzata da arrossamento, gonfiore, calore e dolore. È un processo benefico che aiuta a proteggere dai patogeni e ad avviare la riparazione dei tessuti. Sebbene possa durare da poche ore a qualche giorno, è diversa dall’infiammazione cronica, che persiste per periodi più lunghi e può essere dannosa. (nota personale: I classici segni di un’infiammazione acuta – calore, arrossamento, gonfiore, dolore – n indicano che il corpo sta combattendo e guarendo). Acute inflammation is the body’s rapid, short-term response to injury or infection, characterized by redness, swelling, heat, and pain. It’s a beneficial process that helps protect against pathogens and initiate tissue repair. While it can last from a few hours to a few days, it’s distinct from chronic inflammation, which persists for longer periods and can be harmful.

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L’infiammazione di basso grado non riguarda solo l’intestino ma tutto il corpo. L’intestino è spesso considerato un sito primario per l’infiammazione di basso grado a causa della sua esposizione a fattori ambientali e della sua funzione immunitaria ma questa infiammazione può coinvolgere tutto l’organismo: infiammazione sistemica (vedi approfondimento A).
I marcatori per l’infiammazione di basso grado più comunemente utilizzati includono la proteina C-reattiva (PCR), l’interleuchina-6 (IL-6), il fibrinogeno, e le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Questi marcatori possono essere misurati attraverso esami del sangue e indicano uno stato infiammatorio cronico che può essere associato a diverse condizioni di salute (vedi approfondimento B).

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Obesità e sindrome metabolica
L’obesità, soprattutto quella viscerale, è accompagnata da uno stato infiammatorio cronico di basso grado. Il tessuto adiposo in eccesso secerne citochine pro-infiammatorie (come TNF-α e IL-6) che contribuiscono allo sviluppo di insulino-resistenza. Non a caso nei pazienti obesi si riscontrano spesso livelli elevati di proteina C-reattiva (marker di infiammazione sistemica) e un maggior rischio di diabete di tipo 2. Intervenire sullo stile di vita per ridurre il peso (dieta equilibrata e esercizio) aiuta a “raffreddare” questa infiammazione metabolica, migliorando anche i parametri clinici.
Artrite reumatoide (malattia autoimmune)
Nell’artrite reumatoide il sistema immunitario attacca erroneamente i tessuti articolari, causando un’infiammazione cronica dolorosa delle articolazioni, con dolore e gonfiore. L’infiammazione persistente è direttamente responsabile della degradazione della cartilagine e dell’erosione ossea tipiche di questa patologia .

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