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Grano monococco (piccolo farro) e l’offerta del mercato

by luciano

La ricerca scientifica ha evidenziato da tempo le caratteristiche peculiari del grano monococco  riportate in (https://glutenlight.eu/2019/03/11/il-grano-monococco/ ) e così sintetizzabili:

  1. Elevata digeribilità del glutine
  2. Elevata tollerabilità in relazione ai disturbi gastro-intestinali (celiachia esclusa)
  3. Elevato contenuto di minerali e vitamine
  4. Elevata disponibilità di componenti bioattive
  5. Un differente rapporto tra le componenti dello zucchero dell’amido con prevalenza di quella a lento assorbimento.

Il grano monococco è, da un po’ di tempo, al centro dell’attenzione dei produttori-trasformatori e dei consumatori. I prodotti offerti, però, non hanno, se non in rari casi, una tracciabilità completa da partendo dal “campo arrivi alla tavola”. Sulle confezioni di farina è raro trovare indicazioni riguardo la varietà del grano da cui deriva; sui prodotti finali troviamo gli ingredienti obbligatori per legge ma, raramente, la modalità di preparazione. Il discorso, comunque, vale per tutti i grani sia antichi sia moderni. La maggiore attenzione verso il grano monococco (piccolo farro) è dovuta alla forza evocativa della sua origine ancestrale e alle sue caratteristiche di elevata digeribilità, tollerabilità e contenuti salutistici. La varietà di grano usato e gli indicatori che ci informino sulla quantità e “forza” del glutine risulterebbero particolarmente preziose per poter inserire nella nostra dieta, quando serve, prodotti più digeribili. Il glutine così come si forma durante quando acqua e farina vengono impastate non è digeribile dal nostro intestino, deve venire prima “spezzettato” dagli enzimi digestivi in piccolissimi “frammenti”. In questo modo nell’intestino altri enzimi digestivi completeranno il lavoro in modo da rendere i componenti del glutine “aminoacidi” assimilabili. La minore quantità di glutine e una minore forza faciliteranno a volte di molto, il nostro compito.

I prodotti fatti con farina di grano monococco (piccolo farro) ed in genere quelli realizzati con “ i grani antichi”, vengono pubblicizzati come “molto digeribili” o “ad elevata digeribilità”. Entrambi i termini sono molto generici dal momento che possono presentare forti differenze in termini di quantità di glutine e di “forza del glutine”. Recentemente ho acquistato due differenti farine di grano monococco di cui ho fatto rilevare la quantità di glutine: uno ha una percentuale di glutine secco del 9,6% l’altro del 17,1%! Stessa cosa con la forza del glutine il cui indice in un caso era 33 in un altro 71!

Questi indicatori sono un primo valido aiuto che potremmo avere per meglio bilanciare, con il supporto del medico, la nostra dieta. Va poi ricordato che la digeribilità finale del prodotto realizzato con farine, qualunque esse siano, è molto influenzata anche dalla modalità di preparazione dei prodotti: basti pensare al notevole contributo per la digeribilità che possiamo ottenere utilizzando la pasta acida, ma anche questa informazione è generalmente assente o presente in maniera ambigua o senza specificazione di quale farina sia stata utilizzata: “….realizzato con pasta acida”.  https://glutenlight.eu/2019/05/08/la-fermentazione-della-pasta-acida-ii-parte/

Grani antichi e moderni, intolleranza al glutine e pesticidi: Enzo Spisni risponde alle domande dei lettori

by luciano

(DA: Redazione Il Fatto Alimentare 11 Agosto 2017)

“La questione dei grani antichi e della sensibilità al glutine fa molto discutere. Non sorprende quindi, che l’articolo “Pasta con grano antico o moderno: il problema dell’intolleranza al glutine è lo stesso? Spisni risponde a Bressanini” abbia scatenato un acceso dibattito. Ecco le risposte di Enzo Spisni, docente di Fisiologia della Nutrizione all’Università di Bologna, ai tanti commenti dei lettori del Fatto Alimentare.

Prima l’incipit. Ho sottolineato che tutti possono fare divulgazione scientifica, ma solo tre figure hanno le competenze e possono (per la legge italiana) modificare il modo di alimentarsi e la dieta delle persone. In un paese in cui troppi parlano di diete senza avere competenze e in cui famosi farmacisti vanno in televisione a suggerire diete e dichiarano di avere migliaia di “pazienti”, mi sembra quantomeno un appunto doveroso.

Veniamo alle definizioni. Si definiscono antichi o tradizionali le cultivar presenti prima della cosiddetta “Rivoluzione Verde”. Le differenze sostanziali tra i grani pre-rivoluzione e quelli post-rivoluzione possiamo riassumerle in quattro punti:

1.    La forza del glutine. Si parte da grani che hanno un valore W di forza del glutine di 10-50 e si arriva ai moderni che hanno una forza intorno ai 300-400. È evidente che la struttura del glutine cambia per venire incontro alle necessità dell’industrializzazione degli alimenti.
2.    La taglia. I grani pre-rivoluzione sono a taglia alta (diciamo oltre il metro e trenta), mentre i post sono a taglia bassa (molto al di sotto del metro).
3.    La produttività per ettaro, che aumenta molto nei moderni a fronte però dell’aumento dell’input di azoto attraverso la concimazione. Lascio il discorso su quanto azoto per ettaro agli agronomi, ma chi in campo è passato dal coltivare moderni in convenzionale a grani antichi in biologico si è reso ben conto del risparmio in denaro generato dalla minore concimazione e dal minore uso di chimica.
4.    La minore variabilità genetica, nel senso che le cultivar antiche erano un insieme di genotipi con una biodiversità complessivamente elevata, mentre post-rivoluzione si è andati verso la selezione di grani “in purezza”, fatta di piante tutte geneticamente identiche, con una perdita netta di biodiversità non trascurabile. In altre parole è cambiato il concetto di adattamento: mentre una variabilità genetica ampia è in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali, una variabilità genetica ridotta richiede un maggior intervento dell’uomo nel tentativo di meglio adattare il campo al tipo di grano coltivato. E l’intervento dell’uomo molto spesso si traduce in utilizzo di prodotti chimici.

Fermentazione della pasta acida (II parte)

by luciano

Pasta acida e fitati
“L’aumento del contenuto di fibre nella farina può comportare una minore assimilazione dei minerali a causa dei fitati. Un’ottimizzazione della fase di fermentazione con pasta acida ha permesso di migliorare sia la biodisponibilità dei minerali che gli attributi sensoriali del prodotto finito (pane). (16mo. IFOAM Organic World Congress, Modena, Italy, June 16-20, 2008 Archived at ttp://orgprints.org/view/projects/conference.html)”.

Nota: L’acido fitico è tradizionalmente considerato un fattore antinutrizionale, cioè una sostanza in grado di limitare l’assorbimento o l’utilizzo dei nutrienti. Nel caso specifico, legandosi ad essi a formare sali insolubili (fitati e fitina), l’acido fitico ostacola l’assorbimento di alcuni minerali (calcio, ferro, magnesio e zinco).

Fermentazione a lievitazione naturale e proprietà dei prodotti da forno “Sfortunatamente, c’è spesso un compromesso tra la degradazione del glutine reattivo e la conservazione del glutine per le proprietà dei prodotti da forno. Per gli enzimi microbici possono essere necessarie grandi quantità di tempo e di calore per abbattere i peptidi tossici. Per degradare completamente il peptide α-gliadina 33-mer della farina di grano sono necessarie 24 ore a 30 ° C (Gallo e altri 2005), mentre il grano duro ha richiesto 72 ore di fermentazione a 37 ° C per soddisfare gli standard di etichettatura senza glutine (De Angelis e altri, 2010). Le glutenine HMW, che sono importanti per la cottura e l’integrità della pasta, sono degradate prima e più estesamente delle prolamine reattive durante la fermentazione degli acidi (Ga ̈nzle e altri 2008, Wieser e altri 2008). L’impasto fermentato a lungo ha un elevato rapporto di gliadine con le glutenine, il che è molto indesiderabile per i fornai. I legami disolfuro che tengono insieme il glutine macropolimero (GMP), un componente intrinseco della qualità della cottura, iniziano a deteriorarsi molto prima del glutine. Solo 5 ore di fermentazione con Lactobacilli o prodotti chimici acidi hanno degradato il GMP fino al 46% (Wieser e altri 2008). I pentosani, un componente importante per la cottura del pane di segale, sono stati anche idrolizzati in pasta madre germinata (Loponen e altri 2009). Di conseguenza, la lunga e calda fermentazione a lievitazione naturale per idrolizzare le prolamine compromette le proprietà funzionali di cottura dell’impasto. (A Grounded Guide to Gluten: How Modern Genotypes and Processing Impact Wheat Sensitivity – Chapter Fermentation and microbial enzymes – Lisa Kissing Kucek, Lynn D. Veenstra, Plaimein Amnuaycheewa, and Mark E. Sorrells. Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety Vol. 14, 2015.)”.

Microbiologia della pasta acida
“È noto che il tipo di flora batterica sviluppata in ogni alimento fermentato dipende dall’attività dell’acqua, dal pH (acidità), dalla concentrazione di minerali, dalla concentrazione di gas, dalla temperatura d’incubazione e dalla composizione della matrice alimentare (Font de Valdez et al 2010). La microflora di cereali grezzi è composta da batteri, lievito e funghi (104 – 107 CFU / g), mentre la farina di solito ne contiene 2 x 104 – 6 x 106 CFU / g (Stolz, 1999). Nella fermentazione a lievito naturale il ruolo principale è svolto dalle specie eterofermentative dei LAB (Salovaara, 1998; Corsetti e Settani, 2007), specialmente quando la pasta acida è preparata nel modo tradizionale (Corsetti et al., 2003). Lactobacillus sanfranciscensis, Lactobacillus brevis e Lactobacillus plantarum sono i lattobacilli più frequentemente presenti nel lievito madre (Gobbetti, 1998, Corsetti et al., 2001; Valmorri et al., 2006; Corsetti & Settanni, 2007). I seguenti lieviti sono stati rilevati in cereali (9 x 104 CFU / g) e farina (2 x 103 CFU / g): Candida, Cryptococcus, Pichia, Rodotorula, Torulaspora, Trychoporon, Saccharomyces e Sporobolomyces. Saccharomyces cerevisiae non si trova nelle materie grezze. La sua presenza nella pasta madre è dovuta all’uso del lievito di birra nella maggior parte delle pratiche di panificazione quotidiane (Corsetti et al., 2001). L’importanza delle interazioni antagoniste e sinergiche tra lattobacilli e lieviti si basa sul metabolismo degli idrati di carbonio e degli aminoacidi e sulla produzione di anidride carbonica (Gobetti & Corsetti 1997). Lactic and acetic acid are predominant products of sourdough fermentation). Influence of Acidification on Dough Rheological Properties Daliborka Koceva Komleni, Vedran Slaanac and Marko Jukić Faculty of Food Technology, Josip Juraj Strossmayer University of Osijek, Croatia 2012- www.intchopen)”.