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Pane di farina semintegrale di grano monococco del 09-12-2021

by luciano

Il test è stato realizzato con la stessa metodica più volte illustrata nel sito:

Preimpasto: farina di grano monococco semintegrale (passante al setaccio 600 micron), pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, acqua.

Impasto finale: preimpasto, farina di grano monococco (passante al setaccio 600 micron), pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, olio extravergine di oliva, malto, sale, acqua.

Abbiamo ottenuto un pane profumatissimo, con sapore accentuato di grano, ma sopratutto con una ottima texture e digeribilissimo.
La lunga maturazione con la pasta madre (sempre fatta con grano monococco) ci ha permesso di conseguire questi risultati.
L’idrolisi del glutine da parte della pasta madre è ben visibile nella Foto n. 1: l’impasto dopo la lunghissima maturazione a freddo (5 gradi) e il successivo riscaldamento fino a 19-20 gradi presenta una maglia glutinica poco sviluppata, anzi “deteriorata”. La formazione della “pagnotta” o del “filone” con la tecnica usuale non è possibile, l’impasto non si presta al “modellamento”. Viene dunque realizzata una palla o un rotolo per la lievitazione in cestino (Foto. N. 2).
La foto N. 3 mostra l’impasto a fine lievitazione pronto per il forno; la superficie non appare omogenea ne elastica e lo sviluppo è limitato. Il risultato Foto NN. 4 e 5 mostrano la riuscita del test e sopratutto le foto NN. 6, 7, 8, 9 sono la tangibile prova della ottima riuscita della texture che presenta una mollica disordinata nella distribuzione degli alveoli ma decisamente presenti: il pane non risulta affatto compatto. Guardando lo stato dell’impasto (Foto N.1) non sembrerebbe possibile arrivare ad ottenere il risultato mostrato nella foto n. 9!

Foto n. 1

Maturazione naturale della farina (II parte)

by luciano

La maturazione naturale della farina è un processo che riguarda gli aspetti biochimici, enzimatici e botanici dei fenomeni che avvengono durante la maturazione naturale degli sfarinati, dopo la macinazione e le implicazioni tecnologiche sul processo della panificazione e richiede tempo. Necessità commerciali hanno sempre più orientato molti operatori del settore ad accelerare questo processo utilizzando additivi.
L’argomento è di vitale importanza per la qualità dei prodotti finali ed è per questo motivo che pubblichiamo integralmente un articolo (suddiviso in due parti) della Dott.sa Lauri Simona (tecnologo alimentare).
L’articolo è di una straordinaria chiarezza ed evidenzia una profonda conoscenza della materia unita ad una notevole capacità espositiva.

“L’importanza della maturazione naturale della farina
La maturazione naturale della farina rappresenta realmente un elemento facoltativo, per non dire superfluo? O è forse un fattore chiave, frutto di un secolare processo tecnologico naturale, nonché sinonimo di vera qualità?.

Maturazione: naturale e indotta
Con il termine maturazione s’intendono tutte le variazioni chimico-fisiche, biochimiche, enzimatiche e reologiche che uno sfarinato subisce in presenza di ossigeno, nel periodo che intercorre tra la macinazione ed il successivo utilizzo nel settore dell’arte bianca in generale.
Attualmente, per una questione soprattutto di costi, spazi e tempo, si tende a non farla più avvenire naturalmente, ma ad indurla “artificialmente”, accelerando il fenomeno mediante l’utilizzo di additivi ad hoc, dimenticandosi la maggior parte delle volte di quanto tali aggiunte possano rappresentare uno squilibrio piuttosto importante sia da un punto di vista reologico che enzimatico.
I fenomeni alterativi a carico delle farine
Trattandosi di uno sfarinato, è chiaro che le condizioni fisiche esterne di stoccaggio (temperatura ed umidità relativa – U.R.), la presenza di ossigeno, la modalità di conservazione (silos o sacchi in carta), le caratteristiche reologiche ed enzimatiche dello sfarinato di partenza, l’utilizzo finale, ecc. siano di estrema importanza per molteplici fattori.

Entomologia, biochimica e tecnologia lavorano in sinergia proprio per ridurre i rischi di alterazione di un prodotto che è ricavato da un seme “vitale” e che pertanto richiede un monitoraggio costante per ridurre il rischio di surriscaldamenti, proliferazione d’insetti (lepidotteri, coleotteri, ditteri ecc.), eccessiva attività enzimatica e fenomeni ossidativi a carico della frazione lipidica, soprattutto per quelle farine definite “intere”.

(fig.1 – Cariossidi di Grano Khorasan) (fig.2 – Farina di Mais Fine) (fig.3 – Crusca di Frumento)

Le farine integrali si conservano per un periodo più breve e la loro conservabilità sarà tanto minore quanto maggiore sarà l’U.R. della stessa. Se per esempio una farina di frumento tenero con 15.5% (valore max ammesso dal DPR 187/2001) di umidità si conserva per circa 9-10 mesi, una farina integrale con lo stesso 15.5% di umidità si conserverà indicativamente per “soli” 2-3 mesi a 17°C oppure 4-6 mesi con 14.5% o 9 mesi con 14.0% a parità di valori di temperatura.

L’attività enzimatica
Appare evidente come l’attività enzimatica sia funzione diretta della temperatura e dell’U.R.: se aumenta la temperatura, accresce l’attività microbica, fisica, chimica ed enzimatica, aumentando il grado di acidità. Pertanto, le lipasi idrolizzeranno i lipidi, le fosfolipasi i fosfolipidi, le proteasi le proteine, le amilasi l’amido, le pentosanasi, le emicellulasi e le xilanasi svolgeranno invece la loro azione sui polisaccaridi definiti “non-amido”.
Uno sfarinato appena macinato presenta una struttura reologica di eccessiva debolezza abbinato a scarsa attività enzimatica, scarso assorbimento di acqua e a un colore più scuro. In caso d’immediata panificabilità, i problemi tecnologici rilevati si riassumerebbero in: impasti eccessivamente deboli e appiccicosi, ridotta stabilità, scarso assorbimento di acqua, diminuzione dei tempi d’impastamento, mancanza di struttura, difficoltà di colorazione del prodotto, mancanza di volume, valori di R/E e P/L molto bassi, ridotti tempi di lavorazione, impossibilità di sopportare lunghe fermentazioni in biga e impossibilità di utilizzo in lavorazioni indirette.
La chiave per la qualità: il tempo
Se conservata in modo adeguato, con il passare del tempo una farina diventa sempre più “forte” e chiara fino alla sua condizione massima (varabile da sfarinato a sfarinato) e avente optimum di circa 35 – 40 giorni a 11°C, 30 – 35 giorni a 16°C, 25 – 30 giorni a 26°C, 15 – 20 giorni a 31°C.

(fig.4 – Farina di Mais e Mais Finissima, Semola di Grano Duro, Farina di Grano Tenero, Grano Spezzato, Farina di Farro, Crusca di Frumento)

 

(fig.5 – Macina di Mulino ad Acqua)

Alcuni dei fenomeni alla base di tale trasformazione reologica risiedono nel cambiamento strutturale delle proteine responsabili della rete glutinica che passano – complice l’azione dell’ossigeno e dell’ossidasi – da una conformazione nativa filiforme ad una con ordinamento casuale, disordinato e ripiegato.

Tali modificazioni biochimiche portano alla trasformazione dei gruppi tiolici -SH terminali in ponti disolfuro -S-S- aumentando le interazioni inter ed intramolecolari tra le proteine, dando origine ad una struttura nativa “ripiegata” della parte proteica insolubile con la conseguente riduzione dell’appiccicosità ed incremento dell’assorbimento di acqua nella fase dell’impastamento.

La perdita di colore e lo sbiancamento naturale sono invece una diretta conseguenza dell’ossidazione dei carotenoidi, pigmenti naturali di cui il 95% è rappresentato dalle xantofille, oltre che dall’azione diretta delle lipasi.

Gli acidi grassi liberati dall’azione delle lipasi sono trasformati in perossidi dalle lipossigenasi; i perossidi, a loro volta, ossidano i pigmenti (effetto schiarente) ed aumentano i ponti di solfuro tra catene proteiche o parti di esse.

Altri fenomeni concorrono a migliorare le caratteristiche di panificabilità di una farina tra cui il processo della respirazione, che porta alla produzione di calore, umidità, anidride carbonica e assorbimento di ossigeno dall’ambiente esterno.

Trascorso il periodo definibile di optimum, le caratteristiche chimico-fisiche, biochimiche e reologiche della farina cominciano a peggiorare e come si dice in gergo, la farina diviene “gessata”: molto chiara, con basso valore di pH (optimum tra 5.8 e 6.2 per il frumento), elevata attività enzimatica, diminuzione della solubilità delle proteine, parziale rottura delle catene proteiche, aumento dell’azoto aminico e glutine molto tenace e rigido. A livello di lavorabilità, si traduce in una riduzione del volume del prodotto sia per eccesso di tenacità sia per intensa attività enzimatica.
Conclusioni
Tornando al quesito iniziale vorrei rilevare, ancora una volta, che la maggioranza dei mugnai opera una corretta maturazione naturale, ma purtroppo – come avviene in tutti gli ambiti – non tutti lo fanno poiché ritengono più “conveniente” (anche in considerazione che la stessa legislazione vigente lo consente; si vedano a mero titolo d’esempio il Reg. CE 1129/2011, il Reg. CE 1169/2011, il Reg. CE 1331-32/2008, ecc.) additivare volontariamente e senza limiti (“quantum satis”, come dice la legge per alcuni additivi) le farine, facendole passare per sfarinati che abbiano subito la maturazione naturale.
La maturazione naturale della farina è un processo tecnologico che ha i secoli di storia del grano stesso e sarebbe opportuno insegnarlo un po’ più spesso, a qualche tecnico di laboratorio di aziende molitorie, a molti rappresentanti, agli operatori del settore dell’Arte Bianca e ricordarlo a chi pensa sia solo un optional antieconomico.

La qualità di una farina si fa partendo dalla qualità (in tutti i sensi!) dei grani, con correttezza, miscele opportune di cultivar, controlli rigorosi, serietà, scelte aziendali oneste, rispettose e consapevoli, ma soprattutto senza usare: acido fosforico, fosfati, biossido di silice, silicati, acido ascorbico, L- cisteina, glutine secco, enzimi vari, ecc.
Certo, la strada dell’onestà è faticosa ed in salita, ma… consente di camminare con orgoglio e a testa alta!”

Simona Lauri
Panificatore artigiano, consulente tecnico, perito, docente, maestro e formatore di Arte Bianca (pane tradizionale italiano, pizza classica, pizza in pala, prodotti innovativi, prodotti da forno, grandi lievitati, prodotti tradizionali, soggetti artistici, etc.) per Professionisti, Associazioni, Enti Nazionali ed Internazionali, Privati, Aziende, Fiere e Manifestazioni Italiane ed Estere. Giudice di gara in diverse Competizioni Nazionali e Mondiali. Iscritta all’Ordine dei Tecnologi Alimentari Regione Lombardia e Liguria OTA.
All’attivo numerose pubblicazioni scientifiche su portali, testate giornalistiche del settore. Già Docente universitario di microbiologia, relatore in convegni tecnici del settore, formatore ed esperto con pluriennale esperienza pratica.

Impasto di farina di grano monococco

by luciano

L’impasto per pane con grano monococco presenta alcune difficoltà dovute sia perché ha poco glutine sia, sopratutto, perché è un glutine debole che sviluppa una limitata maglia glutinica.
Pubblichiamo un video del comportamento della fase in cui un impasto finale per pane con grano monococco è lavorato con una impastatrice tipo “a forcella” contrapponendolo ad un impasto finale realizzato con altro grano (Timilia).
La differenza nel comportamento dei due diversi impasti è sostanziale.
Entrambi gli impasti sono stati realizzati con la stessa metodica:

Preimpasto di grano monococco: farina di grano monococco, pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, acqua.

Impasto finale di grano monococco: prempasto, farina di grano monococco, pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, olio extravergine di oliva, malto, sale, acqua.

Preimpasto di grano Timilia: farina di grano Timilia, pasta madre in forma liquida di grano monococco (lo stesso dell’impasto precedente), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, acqua.

Impasto finale di grano Timilia: prempasto, farina di grano Timilia, pasta madre in forma liquida di grano monococco (lo stesso dell’impasto precedente), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, olio extravergine di oliva , malto, sale, acqua.

NON sono stati utilizzati additivi o miglioratori.
Entrambe le farine erano di tipo semi-integrale (passante al setaccio 600 micron).

I filmati evidenziano come l’impasto di grano Timilia sia più omogeneo e “formabile” e meno “appiccicoso”dell’altro. La differenza è dovuta al differente glutine: più “performante” quello generato dal grano Timilia. Dai due filmati si si possono notare le tracce che l’impasto di grano monococco lascia nell’impastatrice (ulteriormente documentate dalla foto “A”) assenti nel caso del grano Timilia.

La farina del monococco non darà mai impasti facili, omogenei elastici a meno che il monococco non sia stato “addomesticato”, per esempio con concimi azotati.

Video impasto grano monococco:https://youtu.be/Wugt9OrbMzQ

Video impasto grano “Timilia” : https://youtu.be/LYcnmdNtuxU

Foto “A”

Il grano: genere, specie, varietà, accessione

by luciano

Per gentile concessione del Dott. Michele Giannini

“Sistematicamente parlando un “genere” contiene più “specie” e , all’interno di una specie ci possono essere diverse varietà. Quindi la varietà è un raggruppamento all’interno di una specie.

Le “varietà” coltivate (anche dette “cultivar” che è un acronimo dei termini “cultivated variety”) sono gruppi di individui (vegetali) che sono simili fra loro avendo in comune alcune caratteristiche morfologiche e di ciclo vegetativo/produttivo che sono anche le caratteristiche che le distinguono dalle altre varietà. Queste caratteristiche distintive devono essere trasmesse alla progenie, ovviamente quando si parla di progenie generatesi dall’incrocio di individui appartenenti alla stessa varietà. Per essere chiamata “varietà”, infatti, il gruppo di individui di cui abbiamo parlato fino ad adesso deve avere caratteristiche di Distinguibilità (si deve differenziare dalle altre varietà conosciute), Uniformità (i caratteri che la caratterizzano devono essere portati da tutti gli individui della varietà e cioè esprimersi in modo uniforme nella popolazione … con alcune tolleranze ammesse) e Stabilità (devono mantenere nelle generazioni i caratteri di distinguibilità con uniformità). L’acronimo di queste tre caratteristiche che definiscono una varietà coltivata è DUS.

Esiste quindi una variabilità tra gli individui di una stessa varietà (a meno di casi particolari quali gli ibridi di prima generazione derivati dall’incrocio di linee pure omozigoti oppure di cloni generati attraverso propagazione vegetativa). Gli individui, inoltre, hanno anche caratteristiche morfofisiologiche diverse se cresciuti in ambienti diversi. E’ per questo che è bene effettuare i confronti varietali nei medesimi ambienti pedoclimatici. Inoltre anche la caratterizzazione morfofisiologica (descrizione dei caratteri morfologici e del ciclo vegetativo/produttivo della varietà) avviene attraverso la comparazione con altre varietà conosciute che crescono nel medesimo ambiente pedoclimatico.

Riproducendo una varietà, quindi, occorre sempre effettuare una selezione conservativa per continuare a mantenerne i caratteri che la contraddistinguono. Inoltre, anche stando attenti alla cosa, l’ambiente in cui gli individui di una varietà crescono e si riproducono è in grado di influenzarne la “evoluzione”… In pratica, l’ambiente favorisce la riproduzione di alcuni individui sfavorendone altri… Questo significa che con l’andare del tempo e l’intervento dell’uomo le varietà (che pure dovrebbero essere stabili) subiscono inevitabilmente una variazione nei loro equilibri interni… in pratica nell’ambito della variabilità presente all’interno della varietà.

Il termine “accessione” può invece essere riferito a varie cose. Di fatto è una “unità” di una collezione.

Una accessione, ad esempio, può essere un gruppo di individui presumibilmente appartenenti ad una varietà coltivata raccolti in un determinato territorio nel quale si sono “ambientati”. Quindi pur appartenendo ad una stessa varietà due accessioni possono anche essere leggermente diverse tra loro in quanto si sono riprodotte (per diverse generazioni) in ambienti diversi. Due accessioni appartenenti alla stessa varietà, possono essere leggermente diverse tra loro anche se raccolte nello stesso ambiente ma in periodi diversi…

A volte una accessione può essere anche una popolazione (quindi un gruppo non così uniforme come una cultivar) raccolta in un determinato ambiente e in un determinato momento.

La caratterizzazione di una varietà è la descrizione della stessa e, in particolare, di quei caratteri che la rendono distinguibile rispetto alle altre.

Oggi è possibile caratterizzare una varietà anche dal punto di vista genomico.

Sperando di essere riuscito a spiegare i concetti e le differenze tra varietà (cultivar) e accessione”.

Dott. Michele Giannini

U.O. CENTRI SPERIMENTALI
email: michele.giannini@venetoagricoltura.org

Veneto Agricoltura

Veneto Agricoltura è presente su tutto il territorio regionale.
Nei suoi centri si svolgono le attività sperimentali, nelle aziende pilota le nuove tecnologie vengono testate per costruire il know-how dell’agricoltura veneta.
Si avvale di strutture specializzate per la formazione e l’aggiornamento tecnico e gestisce il patrimonio forestale regionale.
Viale dell’Università,14 – Legnaro PD

Maturazione naturale della farina

by luciano

La maturazione naturale della farina è un processo che riguarda gli aspetti biochimici, enzimatici e botanici dei fenomeni che avvengono durante la maturazione naturale degli sfarinati, dopo la macinazione e le implicazioni tecnologiche sul processo della panificazione e richiede tempo. Necessità commerciali hanno sempre più orientato molti operatori del settore ad accelerare questo processo utilizzando additivi. L’argomento è di vitale importanza per la qualità dei prodotti finali ed è per questo motivo che pubblichiamo integralmente un articolo (suddiviso in due parti) della Dott.sa Simona Lauri (tecnologo alimentare). L’articolo è di una straordinaria chiarezza ed evidenzia una profonda conoscenza della materia unita ad una notevole capacità espositiva.

L’importanza della maturazione naturale della farina (I parte)
La maturazione naturale della farina rappresenta realmente un elemento facoltativo, per non dire superfluo? O è forse un fattore chiave, frutto di un secolare processo tecnologico naturale, nonché sinonimo di vera qualità? (I Parte). Pubblicato il: 25/08/2014
Premessa
Parlare di farine non è mai una cosa semplice, soprattutto quando vi sono molteplici punti di vista attraverso i quali è possibile affrontare l’argomento: agronomico, botanico e/o genetico del frumento, reologico, enzimatico, tecnologico, concernente le analisi di processo, legislativo, commerciale, nutrizionale o semplicemente divulgativo. A questa problematica si aggiunga il lessico della trattazione, che molto spesso è basato su vocaboli o troppo tecnici – a quasi esclusivo appannaggio universitario – o eccessivamente semplificati, tali da diffondere banalità o informazioni elementari e pertanto reperibili ovunque.

 L’argomento di quest’approfondimento sulla farina di frumento riguarda gli aspetti biochimici, enzimatici e botanici dei fenomeni che avvengono durante la maturazione naturale degli sfarinati, dopo la macinazione e le implicazioni tecnologiche sul processo della panificazione. Si cercherà pertanto di utilizzare un linguaggio il più semplificato possibile, pur mantenendo solide le basi scientifiche e la terminologia tecnica, evitando – quando possibile – dettagliati approfondimenti e rimandando ad opportuni testi, pubblicazioni universitarie, o articoli specifici.