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Idrocolloidi ed emulsionanti alimentari

by luciano

Premessa
Gli idrocolloidi e gli emulsionanti sono entrambi additivi alimentari, ma hanno funzioni diverse. Gli idrocolloidi sono sostanze che addensano, gelificano o stabilizzano alimenti, mentre gli emulsionanti aiutano a miscelare sostanze immiscibili come olio e acqua.

Idrocolloidi
Sono sostanze che, in soluzione acquosa, formano un sistema colloidale, aumentando la viscosità o formando gel.
La loro funzione principale è quella di modificare la consistenza degli alimenti, rendendoli più densi, cremosi o gelatinosi.
Possono anche stabilizzare le emulsioni o le sospensioni, impedendo la separazione delle fasi.
Alcuni esempi di idrocolloidi: agar-agar, amidi modificati, beta-glucani, carragenine, pectina, semi di carruba, fibre di bambù, fibre di patata, fibre di pisello, gelatine, gomma arabica, gomma xantana, guar, inulina. In quali prodotti è più facile trovarli: prodotti da forno e da pasticceria, biscotti, gelati, yogurt, bevande sportive (in particolare maltodestrine).

Emulsionanti:
Sono molecole che hanno una parte idrofoba (amante del grasso) e una parte idrofila (amante dell’acqua).
Questa struttura permette loro di stabilizzare le emulsioni, ovvero miscele di liquidi immiscibili come olio e acqua.
Gli emulsionanti si dispongono tra le due fasi, riducendo la tensione superficiale e prevenendo la separazione.
Esempi comuni includono lecitina, mono e digliceridi degli acidi grassi e polisorbatati.
In sintesi, mentre gli idrocolloidi modificano la consistenza generale di un alimento, gli emulsionanti lavorano specificamente per mantenere stabili le emulsioni, evitando la separazione di olio e acqua. Alcuni idrocolloidi, come la lecitina, possono anche avere proprietà emulsionanti.

Idrocolloidi

A – Gli idrocolloidi permettono di ottenere prodotti con lunga shelf life, inserimento di farine integrali e fibre, l’assenza di grassi trans e non ultimo l’assenza di glutine. Gli idrocolloidi sono molecole in grado di legare acqua in grandi quantità; tra i più usati nei prodotti da forno vi sono la gomma di xantano, la pectina, le cellulose modificate e i frutto- e galatto-oligosaccaridi. Alcune di queste sostanze sono considerate fibre alimentari, in grado di stimolare il senso di sazietà e avere effetti positivi sulla funzionalità intestinale. Spesso gli idrocolloidi ottengono il loro effetto tecnologico-funzionale nel prodotto anche se aggiunti agli impasti in piccole quantità, per esempio minori dell’1% del totale degli ingredienti in polvere. Negli impasti di pane e altri prodotti da forno gli idrocolloidi aiutano, in fase produttiva, a migliorare la lavorabilità dell’impasto grazie all’effetto di rapida ed uniforme idratazione dello stesso. Il volume, la struttura e la sofficità dei prodotti finiti sono migliorati. La fragilità è minore, per esempio nel caso di prodotti da forno “spumosi” con elevata presenza di bolle d’aria o presenza di pezzi in sospensione (cioccolato, frutta o frutta secca): tali bolle o pezzi sono stabilizzati all’interno del sistema grazie agli idrocolloidi. In fase di conservazione, poi, c’è un aumento della shelf life dei prodotti grazie al mantenimento di sofficità per tempi più prolungati: la differenza rispetto ai prodotti privi di idrocolloidi è tanto più evidente con il passare del tempo. Pare, infine, che la presenza di idrocolloidi sia anche in grado di influenzare le dimensioni dei cristalli di ghiaccio all’interno degli impasti per pane o altri prodotti semicotti durante la loro surgelazione, permettendo di ottenere un prodotto scongelato di migliore qualità (Riferimento H1) .
……..Omissis
Ci sono operazioni unitarie che sono di difficile attuazione per alimenti che non prevedono l’uso di glutine, come per esempio le fasi di estrusione, trafilatura o laminazione che avvengono nella pasta oppure in alcuni prodotti da forno: le sollecitazioni che avvengono in queste fasi necessitano di elasticità da parte dell’impasto, pertanto sono fondamentali formulazioni in grado di sostenere il processo in continuo di un impianto magari pre-esistente (Riferimento H2) .
………Omissis
Se si confrontano dei cracker senza glutine, si riscontrano formulazioni estremamente semplici, con farine di mais e riso, ed altre più complesse, con l’aggiunta di fecola di patate, destrosio, emulsionanti ed addensanti. Dal punto di vista nutrizionale, è chiaro che l’alimento potrebbe risultare, rispetto al medesimo prodotto convenzionale, maggiormente ricco di zuccheri ed in parte di grassi. Il pane in cassetta, più difficile da realizzare in quanto lievitato, mostra formulazioni piuttosto complesse a base di mais, riso o grano saraceno, amidi, fibre vegetali, proteine, zuccheri, addensanti (tra cui idrocolloidi), emulsionanti, acidificanti. Tale ricettazione implica, a livello nutrizionale, o un aumento di carboidrati di circa il 10- 15% rispetto al prodotto convenzionale della medesima categoria oppure un aumento di grassi, soprattutto saturi, di circa il 30-50% (Riferimento H3).
Nel campo dolciario, le considerazioni sono più o meno le medesime, in quanto a livello nutrizionale, rispetto ai prodotti convenzionali, permangono valori più elevati di carboidrati, soprattutto zuccheri, e grassi, principalmente saturi, per sopperire alla carenza di viscoelasticità della parte proteica. Prodotti e tecnologie per alimenti senza glutine. Macchine alimentari – Anno XVII -1 – Genn. Feb 2015

B – L’industria alimentare si è impegnata a offrire ai consumatori proprietà reologiche di alta qualità insieme a prodotti alimentari sani e nutrienti (Goff & Guo, 2019; Manzoor, Singh, Bandral, Gani e Shams, 2020). Di conseguenza, negli ultimi anni si è assistito a un ampio utilizzo di idrocolloidi alimentari nella formulazione/riformulazione di diverse categorie alimentari, nella produzione di alimenti funzionali e in iniziative di innovazione (Manzoor et al., 2020). Gli idrocolloidi alimentari sono considerati componenti alimentari cruciali grazie ai loro miglioramenti in termini di viscosità, gelificazione e addensamento, migliorando la reologia e le proprietà sensoriali degli alimenti (Saha & Bhattacharya, 2010; Goff & Guo, 2019). I termini gomma e mucillagine possono anche essere usati raramente come sinonimi di idrocolloidi. Indipendentemente da come siano chiamati, questi ingredienti sono generalmente presenti in applicazioni industriali come miglioratori di viscosità, emulsionanti, agenti di rivestimento, gelificanti, agenti stabilizzanti e fornitori di stabilità termodinamica (Goff & Guo, 2019; Maity, Saxena e Raju, 2018; Manzoor et al., 2020) (Fig. 1). Trovano applicazione funzionale principalmente in prodotti alimentari, tra cui dolciumi (agenti di rivestimento, testurizzanti), bevande specifiche (emulsionanti), prodotti lattiero-caseari (addensanti e stabilizzanti), pasticceria (agenti di carica, miglioratori della qualità sensoriale e della conservabilità), frutta e verdura surgelate (crioprotettore) (Maity et al., 2018; Salehi, 2020; Viebke, Al-Assaf e Phillips, 2014). Recentemente, gli idrocolloidi alimentari hanno raggiunto un’avanguardia grazie ai loro vantaggi per la salute e alle rilevanti applicazioni farmaceutiche, oltre che alimentari. Inoltre, sono stati studiati i possibili effetti sulla salute e i meccanismi del loro apporto alimentare.
La letteratura recente ha indicato che gli idrocolloidi alimentari svolgono ruoli cruciali sul microbiota intestinale a causa delle loro diverse proprietà fisico-chimiche o strutturali (Tan & Nie, 2021). Alcuni di questi ruoli importanti sono i loro impatti prebiotici, stimolando la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), riducendo il disagio gastrointestinale oltre a preservare la normale funzione intestinale (Marciani et al., 2019; Viebke et al., 2014; Williams & Phillips, 2021, pp. 3–26), un aumento della viscosità all’interno del lume intestinale, una riduzione o un aumento dell’assorbimento di alcuni nutrienti (Nybroe et al., 2016), un colesterolo più basso (Manzoor et al., 2020; McClements, 2021), un calo dell’iperglicemia (Lu, Li e Fang, 2021) nonché una normale regolazione del peso corporeo (Johansson, Andersson, Alminger, Landberg e Langton, 2018; Viebke et al., 2014). Inoltre, la ricerca sugli idrocolloidi e sulla modulazione intestinale sembra diffondersi giorno dopo giorno grazie alle tecnologie multi-omiche all’avanguardia e all’analisi dettagliata del microbioma umano. Questo articolo fornisce una panoramica completa su specifici idrocolloidi alimentari, in particolare quelli che hanno la struttura dei polisaccaridi nella modulazione intestinale, e sulle loro potenziali interazioni con la nutrizione e la salute. A comprehensive review on food hydrocolloids as gut modulators in the food matrix and nutrition: The hydrocolloid-gut-health axis. al. 2023. https://doi.org/10.1016/j.foodhyd.2023.10906
C – Hydrocolloids also modulate gut microbiota, offering various health benefits. Certain hydrocolloids, such as inulin and pectin, act as prebiotics, promoting beneficial gut bacteria growth and influencing microbiota composition and diversity (Bouillon et al., 2022; Gularte & Rosell, 2011).

D – Gli idrocolloidi sono polimeri idrofili a catena lunga utilizzati nei sistemi alimentari per addensare, gelificare e stabilizzare. Influenzano significativamente la retrogradazione, l’idrolisi dell’amido e la modulazione del microbiota intestinale, con effetti sia positivi che negativi. Questi effetti dipendono da fattori quali il tipo di idrocolloide, la concentrazione, le interazioni con l’amido e le condizioni ambientali come la temperatura e i metodi di lavorazione. Alcuni idrocolloidi inibiscono la retrogradazione dell’amido interrompendo la ricristallizzazione dell’amilosio, mentre altri la promuovono in determinate condizioni. Possono anche alterare l’idrolisi dell’amido modificando l’accessibilità degli enzimi ai granuli di amido, rallentando o accelerando la digestione. Inoltre, gli idrocolloidi agiscono come fibre fermentabili, favorendo la crescita di batteri intestinali benefici, che possono influenzare i processi metabolici. Nonostante i progressi significativi, la complessità di queste interazioni rimane incompleta, poiché gli effetti variano a seconda della composizione del microbiota individuale. Questa revisione esplora i meccanismi attraverso i quali gli idrocolloidi modulano i comportamenti dell’amido e il microbiota intestinale, sintetizzando la letteratura attuale e identificando le direzioni future della ricerca per colmare le lacune di conoscenza esistenti.
………Omissis. Nei sistemi alimentari, gli idrocolloidi influenzano la retrogradazione dell’amido, l’idrolisi dell’amido e la modulazione del microbiota intestinale, fattori essenziali sia per la qualità del cibo sia per la salute umana.
……….Omissis. Diversi idrocolloidi, tra cui gomma xantana, pectina, β-glucano e glucomannano di konjac, influenzano l’idrolisi dell’amido e ne riducono la digeribilità. I loro effetti dipendono dalla struttura molecolare, dalla fonte, dalla concentrazione, dalle interazioni con l’amido e dalle condizioni di lavorazione (Ma et al., 2024). Aumentando la viscosità delle matrici a base di amido, gli idrocolloidi creano una rete di gel resistente, rallentando la degradazione enzimatica dell’amido nel tratto gastrointestinale. Questa idrolisi ritardata si traduce in un rilascio controllato di glucosio e in una minore risposta glicemica postprandiale (Bae & Lee, 2018; Bellanco et al., 2024). Di conseguenza, gli idrocolloidi hanno il potenziale per migliorare il controllo glicemico e ridurre il rischio di disturbi metabolici come il diabete di tipo 2. Yassin et al. (2022) hanno riportato che l’incorporazione di gomma xantana, lambda-carragenina o buccia di psillio (1-5% p/p del peso della farina) nel pane bianco ha ridotto significativamente la potenza glicemica, con la buccia di psillio al 5% p/p che ha esercitato l’effetto più forte. Analogamente, Mæhre et al. (2021) hanno scoperto che il pane bianco fortificato con gomma di guar ha ridotto le risposte glicemiche postprandiali.
Gli idrocolloidi modulano anche il microbiota intestinale, offrendo diversi benefici per la salute. Alcuni idrocolloidi, come inulina e pectina, agiscono come prebiotici, promuovendo la crescita dei batteri intestinali benefici e influenzando la composizione e la diversità del microbiota (Bouillon et al., 2022; Gularte & Rosell, 2011). I loro effetti prebiotici dipendono dalle proprietà fisico-chimiche, con variazioni della struttura polimerica e della fonte che influenzano i risultati sulla salute intestinale (Ağagündüz et al., 2023). I benefici segnalati includono una migliore digestione, un potenziamento della funzione immunitaria e una riduzione dell’infiammazione, sebbene permangano incongruenze in letteratura riguardo all’entità e ai meccanismi di questi effetti (Zhang et al., 2023). Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno sia i vantaggi che i potenziali limiti delle applicazioni degli idrocolloidi per la salute intestinale. Questa revisione fornisce un’analisi approfondita degli effetti degli idrocolloidi sulla retrogradazione dell’amido, sulla digeribilità e sul microbiota intestinale, affrontando sia i risultati positivi che quelli negativi e mira a informare sullo sviluppo di alimenti funzionali con migliori benefici per la salute. The multifunctional role of hydrocolloids in modulating retrogradation, starch hydrolysis, and the gut microbiota. Xikun Lu et al. Food Chemistry
Volume 489, 15 October 2025, 144974.

Approfondimento
Hydrocolloids are a diverse group of hydrophilic long-chain polymers, primarily polysaccharides and certain proteins, known for their gelling, thickening, and stabilizing properties in various industries, particularly food production (Cevoli et al., 2013). Their ability to disperse in water is attributed to numerous hydroxyl (–OH) groups, which enhance interactions in aqueous environments. Hydrocolloids are classified based on their sources, structural characteristics (linear or branched), charge properties (neutral, negative, or positive), and functional roles such as gelling, thickening, and adhesion (Kraithong, Theppawong, et al., 2023). Beyond food applications, they are widely used in pharmaceuticals, cosmetics, coatings, and packaging, contributing to rheological and structural modifications (Pegg, 2012). In food systems, hydrocolloids influence starch retrogradation, starch hydrolysis, and gut microbiota modulation, which are critical for both food quality and human health. Retrograded starch, or resistant starch type 3 (RS3), forms through the recrystallization of gelatinized starch, creating a structured crystalline network (Han et al., 2024). RS3 formation is primarily influenced by amylose content, as amylose rearranges more readily than amylopectin, and by water content, with optimal recrystallization occurring between 20 and 90 % moisture (Han et al., 2024). Lipids and proteins also impact starch retrogradation, as lipid-amylose complexes limit amylose availability for crystallization, while proteins influence water distribution and create physical barriers that hinder retrogradation (Liu et al., 2024). Hydrocolloids modify RS3 formation by altering starch structure and water interactions. Galactomannans such as guar gum, tara gum, locust bean gum, and konjac glucomannan enhance short-term retrogradation, typically within one day, by increasing amylose concentration in the continuous phase (Funami et al., 2005; Funami et al., 2008). However, these hydrocolloids may also reduce the gelled fraction of amylose by decreasing amylose leaching during gelatinization. Additionally, they may inhibit long-term retrogradation by preventing amylose crystallization and its co-crystallization with amylopectin while enhancing water retention within the starch matrix. Controlling water mobility and distribution is crucial in mitigating starch retrogradation. (Funami et al. 2005). The multifunctional role of hydrocolloids in modulating retrogradation, starch hydrolysis, and the gut microbiota. Xikun Lu et al. Food Chemistry Volume 489, 15 October 2025, 144974.

E – La carragenina (CGN).
La carragenina (CGN) è un polisaccaride ad alto peso molecolare estratto da alghe rosse, composto da residui di D-galattosio legati con legami galattosio-galattosio β-1,4 e α-1,3, ampiamente utilizzato come additivo alimentare negli alimenti trasformati per le sue proprietà di addensante, gelificante, emulsionante e stabilizzante. Negli ultimi anni, con la diffusione della dieta occidentale (WD), il suo consumo è aumentato. Ciononostante, è in corso un dibattito sulla sua sicurezza. La CGN è ampiamente utilizzata come agente infiammatorio e adiuvante in vitro e in modelli sperimentali animali per lo studio dei processi immunitari o per valutare l’attività di farmaci antinfiammatori. La CGN può attivare le vie immunitarie innate dell’infiammazione, alterare la composizione del microbiota intestinale e lo spessore della barriera mucosa. Evidenze cliniche suggeriscono che la carragenina (CGN) sia coinvolta nella patogenesi e nella gestione clinica delle malattie infiammatorie intestinali (MICI); le diete di esclusione alimentare possono infatti rappresentare una terapia efficace per la remissione della malattia. Inoltre, la presenza di IgE specifiche per l’oligosaccaride α-Gal è stata associata a reazioni allergiche comunemente note come “sindrome α-Gal”. Questa revisione si propone di discutere il ruolo della carragenina nelle malattie infiammatorie intestinali e nelle reazioni allergiche alla luce delle attuali evidenze. Inoltre, poiché non sono disponibili dati definitivi sulla sicurezza e sugli effetti della CGN, suggeriamo di colmare alcune lacune e consigliamo di limitare l’esposizione umana alla CGN riducendo il consumo di alimenti ultra-processati. The Role of Carrageenan in Inflammatory Bowel Diseases and Allergic Reactions: Where Do We Stand? Barbara Borsani et al. Nutrients 2021, 13, 3402. https://doi.org/10.3390/nu13103402.

F- Xanthan gum showed various positive effects on metabolism. Furthermore, xanthan gum is fermented by bacteria to produce SCFAs (Bourquin et al., 1996), and consumption of the food additive xanthan gum affected gut microbiome (Ostrowski et al., 2022).

G – While xanthan gum is generally considered safe, some individuals may experience allergic reactions. These reactions can range from mild to severe, and symptoms may include skin rashes, digestive issues, or respiratory problems. People with known allergies to wheat, corn, soy, or dairy may be more susceptible, as xanthan gum is often produced from these sources.
Here’s a more detailed breakdown:
What is Xanthan Gum?
Xanthan gum is a polysaccharide produced by fermenting the bacterium Xanthomonas campestris. It’s a common food additive used as a thickener, stabilizer, and emulsifier.
Potential Allergic Reactions:
Some individuals may experience allergic reactions to xanthan gum, even though it’s generally considered safe. These reactions are due to the body’s immune system mistakenly identifying xanthan gum as a harmful substance and producing IgE antibodies, which trigger histamine release.
Symptoms:
Allergic reactions can manifest in various ways, including:
Skin reactions like hives, rashes, or itching.
Gastrointestinal issues such as bloating, gas, or diarrhea.
Respiratory symptoms like sneezing, runny nose, or difficulty breathing.
Other symptoms like headaches, itchy or watery eyes, and scratchy throat.
Who is at Risk?
Individuals with known allergies to wheat, corn, soy, or dairy may be more likely to react to xanthan gum, as it’s often produced using these ingredients. Premature infants may also be at risk of complications from xanthan gum, particularly in formula or breast milk thickeners.
Testing:
Allergy tests, including IgE blood tests, can be used to detect xanthan gum allergies.

H – Hydrocolloids, while beneficial in many ways for gut health, also have limitations. They can potentially hinder nutrient absorption by forming a viscous barrier that slows down the release and diffusion of nutrients, digestive enzymes, and bile salts. Furthermore, the specific mechanisms of how hydrocolloids interact with the gut microbiome and the long-term health effects are not fully understood, which limits their widespread application, particularly in functional foods like yogurt.

Here’s a more detailed breakdown:
1. Hindered Nutrient Absorption:
Hydrocolloids can create a gel-like layer on the intestinal surface, which can physically block the contact between nutrients and the intestinal lining.
This barrier effect can reduce the rate at which nutrients, including those from supplements or fortified foods, are absorbed.
The increased viscosity caused by hydrocolloids can also slow down the diffusion of digestive enzymes and bile salts, further impacting nutrient digestion and absorption.
2. Microbiome Interactions:
Hydrocolloids can impact the composition and activity of the gut microbiome, sometimes leading to shifts in the balance of beneficial and harmful bacteria.
The effects on the microbiome are complex and depend on various factors, including the specific type of hydrocolloid, its concentration, and the individual’s gut microbiome composition.
While some hydrocolloids may act as prebiotics, promoting the growth of beneficia bacteria, others might have less desirable effects or their effects could vary greatly.
3. Limited Understanding of Mechanisms:
The precise mechanisms by which hydrocolloids influence gut health and nutrient absorption are not fully elucidated.
More research is needed to understand how different hydrocolloids interact with the gut and how they affect digestion, nutrient absorption, and the gut microbiome.
4. Variability in Effects:
The effects of hydrocolloids on gut health can vary depending on several factors, including the type of hydrocolloid, its molecular structure, concentration, and the specific conditions in the digestive tract.
For example, some hydrocolloids may promote resistant starch formation and reduce starch digestibility, while others may have the opposite effect under certain conditions.
5. Potential for Negative Effects:
While generally considered safe, some hydrocolloids, like carrageenan, have faced scrutiny due to potential inflammatory effects or the generation of pro-inflammatory oligosaccharides by gut bacteria.
It’s crucial to consider the potential for adverse effects and to choose hydrocolloids carefully, especially when developing functional foods or supplements.
In summary, while hydrocolloids offer promising avenues for improving gut health and developing functional foods, it’s essential to acknowledge their potential limitations and to conduct further research to fully understand their effects and optimize their application in various contexts.

Infiammazione intestinale di basso grado

by luciano

Premessa

Infiammazione
Infiammazione acuta
Infiammazione di basso grado (infiammazione cronica silente)

L’infiammazione è una componente centrale dell’immunità innata (aspecifica). In termini generici, l’infiammazione è una risposta locale al danno cellulare caratterizzata da aumento del flusso sanguigno, dilatazione capillare, infiltrazione leucocitaria e produzione localizzata di una serie di mediatori chimici, che contribuiscono all’eliminazione degli agenti tossici e alla riparazione dei tessuti danneggiati(1). È ormai chiaro che la cessazione (in alternativa nota come risoluzione) dell’infiammazione è un processo attivo che coinvolge citochine e altri mediatori antinfiammatori, in particolare lipidi, piuttosto che una semplice interruzione delle vie pro-infiammatorie (2,3).
L’infiammazione agisce sia come “amica che come nemica”: è una componente essenziale dell’immunosorveglianza e della difesa dell’ospite, tuttavia uno stato infiammatorio di basso grado è una caratteristica patologica di un’ampia gamma di condizioni croniche, come la sindrome metabolica (SMet), la steatosi epatica non alcolica (NAFLD), il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) e le malattie cardiovascolari (CVD) (4,5). Sebbene l’associazione tra infiammazione e condizioni croniche sia ampiamente riconosciuta, la questione della causalità e il grado in cui l’infiammazione contribuisce e funge da fattore di rischio per lo sviluppo della malattia rimangono irrisolti. Come verrà discusso, parte di questa incertezza è dovuta a una generale mancanza di biomarcatori sensibili e specifici dell’infiammazione cronica di basso grado che possano essere utilizzati negli studi clinici (1). British Journal of Nutrition (2015), 114, 999–1012 doi:10.1017/S0007114515002093 q ILSI Europe 2015. Review Article Low-grade inflammation, diet composition and health: current research evidence and its translation.
Anne M. Minihane, Sophie Vinoyet al.
Nota
I numeri tra parentesi si riferiscono alle referenze riportate nello studio citato

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Infiammazione acuta
L’infiammazione acuta è la risposta rapida e a breve termine dell’organismo a lesioni o infezioni, caratterizzata da arrossamento, gonfiore, calore e dolore. È un processo benefico che aiuta a proteggere dai patogeni e ad avviare la riparazione dei tessuti. Sebbene possa durare da poche ore a qualche giorno, è diversa dall’infiammazione cronica, che persiste per periodi più lunghi e può essere dannosa.

Acute inflammation is the body’s rapid, short-term response to injury or infection, characterized by redness, swelling, heat, and pain. It’s a beneficial process that helps protect against pathogens and initiate tissue repair. While it can last from a few hours to a few days, it’s distinct from chronic inflammation, which persists for longer periods and can be harmful.

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L’infiammazione di basso grado non riguarda solo l’intestino ma tutto il corpo. L’intestino è spesso considerato un sito primario per l’infiammazione di basso grado a causa della sua esposizione a fattori ambientali e della sua funzione immunitaria ma questa infiammazione può coinvolgere tutto l’organismo: infiammazione sistemica (vedi approfondimento A).
I marcatori per l’infiammazione di basso grado più comunemente utilizzati includono la proteina C-reattiva (PCR), l’interleuchina-6 (IL-6), il fibrinogeno, e le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Questi marcatori possono essere misurati attraverso esami del sangue e indicano uno stato infiammatorio cronico che può essere associato a diverse condizioni di salute (vedi approfondimento B).

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Cos’è l’infiammazione di basso grado?
L’infiammazione di basso grado è solitamente definita come “la produzione cronica, ma in uno stato di basso grado, di fattori infiammatori”. Condizioni caratterizzate da infiammazione di basso grado sono, ad esempio, l’obesità (1), la depressione (2) o il dolore cronico (3). L’infiammazione di basso grado non deriva da un’infezione, ma sono coinvolti diversi meccanismi fisiologici. Le concentrazioni di fattori infiammatori in queste condizioni sono complessivamente leggermente superiori rispetto alle popolazioni sane, ma rimangono comunque nei limiti della salute. È quindi difficile stabilire se un paziente specifico presenti “infiammazione di basso grado”, ma questa può essere meglio definita a livello di un gruppo di pazienti
References
1 -Wellen, K.E. and G.S. Hotamisligil, Obesity-induced inflammatory changes in adipose tissue. J Clin Invest, 2003. 112:1785-8.
2 – Dantzer, R., Depression and inflammation: an intricate relationship. Biol Psychiatry, 2012. 71: p. 4-5.
3 – Parkitny, L., et al., Inflammation in complex regional pain syndrome: a systematic review and meta-analysis. Neurology, 2013. 80:106-17.

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Infiammazione di basso grado sistemica

L’infiammazione sistemica di basso grado è sempre più riconosciuta per il suo ruolo importante in una varietà di stati patologici. Non solo l’infiammazione cronica di basso grado (LGI) è implicata nel processo di invecchiamento, ma l’LGI è anche osservata in associazione con numerose condizioni di salute, tra cui malattie cardiovascolari (CVD, tra cui ictus, infarto del miocardio e arteriopatia periferica), disturbo da stress post-traumatico (dove si ritiene sia un potenziale fattore determinante dell’aumento del rischio di malattie croniche osservato negli individui affetti), obesità, condizioni di dolore muscoloscheletrico, disturbo dello spettro autistico e diabete (1, 6). L’LGI può anche essere osservata in associazione con disturbo bipolare e schizofrenia (7). Inoltre, è correlata a fattori legati allo stile di vita come fumo e stress (8). L’LGI o un’infiammazione più evidente si osservano certamente anche nelle condizioni autoimmuni (8,9. L’LGI è inoltre inversamente correlata a una ridotta diversità microbica intestinale e si ritiene che le compromissioni dell’integrità della barriera intestinale contribuiscano all’LGI. (6, 10). La risoluzione appropriata di una risposta infiammatoria richiede la degradazione di mediatori infiammatori e chemiochine (che porta a una riduzione del reclutamento di leucociti circolanti nel sito di lesione) insieme a una maggiore produzione di mediatori lipidici e citochine pro-risoluzione (incluso il fattore di crescita trasformante beta). Se questo processo non è adeguatamente regolato, se la fonte del danno tissutale non viene risolta o se è presente uno stimolo continuo, il risultato può essere un’infiammazione cronica. Un’infiammazione persistente può portare a un continuo reclutamento di leucociti, al rimodellamento della matrice extracellulare, all’angiogenesi e alla proliferazione o morte cellulare (11, 12).
Novel and Emerging Markers of Chronic or Low-Grade Inflammation
Author: Khara Lucius. Integrative and Complementary TherapiesVol. 29, No. 3

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Gluten is a Proinflammatory Inducer of Autoimmunity. Aaron Lerner et al.
Journal of Translational Gastroenterology 2024 vol. 2(2) | 109–124 DOI: 10.14218/JTG.2023.00060.

Riassunto
Il glutine ha molteplici effetti nocivi che compromettono la salute umana, non solo nelle malattie glutine-dipendenti, ma anche nelle condizioni infiammatorie croniche non legate al glutine. Dopo il consumo, i peptidi del glutine indigeribili vengono modificati dalla transglutaminasi microbica luminale o trasportati attraverso l’epitelio intestinale per interagire con le cellule immunitarie della mucosa, densamente popolate. Come interferenti della permeabilità intestinale, i peptidi del glutine indigerito compromettono l’integrità delle giunzioni strette, consentendo a molecole immunogeniche estranee di raggiungere i compartimenti interni. I peptidi della gliadina vengono distribuiti sistemicamente agli organi remoti, dove incontrano la transglutaminasi tissutale endogena. In seguito a deamidazione o transamidazione post-traduzionale, i peptidi diventano immunogeni e pro-infiammatori, inducendo disfunzione d’organo e patologia. La cross-reattività e l’omologia di sequenza tra i peptidi del glutine/gliadina e gli epitopi umani possono contribuire al mimetismo molecolare nell’induzione dell’autoimmunità. Come prova di concetto, l’astinenza dal glutine allevia l’attività della malattia nelle condizioni infiammatorie croniche, metaboliche e autoimmuni, e persino nella neurodegenerazione. Raccomandiamo di combinare la dieta senza glutine con quella mediterranea per sfruttare i vantaggi di entrambe. Prima di raccomandare l’astinenza dal glutine per condizioni non dipendenti dal glutine, è necessario chiedere ai pazienti informazioni sulla sintomatologia intestinale ed effettuare lo screening per gli anticorpi associati alla celiachia. L’elenco attuale delle malattie indotte dal glutine include la celiachia, la dermatite erpetiforme, l’atassia da glutine, l’allergia al glutine e la sensibilità al glutine non celiaca. Considerato che il glutine è una molecola proinfiammatoria universale, è necessario indagare su altre condizioni autoinfiammatorie e neurodegenerative non celiache per una potenziale eliminazione del glutine. Gluten is a Proinflammatory Inducer of Autoimmunity. Aaron Lerner et al. Journal of Translational Gastroenterology 2024 vol. 2(2) | 109–124 DOI: 10.14218/JTG.2023.00060.

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Approfondimento A

L’infiammazione generalizzata, anche nota come infiammazione sistemica, è una condizione in cui l’infiammazione è presente in tutto il corpo, anziché essere localizzata in una specifica zona. Questo significa che il processo infiammatorio, che solitamente è una risposta dell’organismo a un’infezione o un danno, si attiva in modo diffuso e persistente.

Le cause dell’infiammazione generalizzata sono molteplici e possono includere:
1. Infezioni: Infezioni croniche o recidivanti possono mantenere l’infiammazione a livello sistemico.
2. Obesità. Il tessuto adiposo produce citochine pro-infiammatorie, contribuendo all’infiammazione sistemica.
3. Malattie infiammatorie croniche: Patologie come l’artrite reumatoide o la colite ulcerosa causano infiammazione a livello sistemico.
4. Stress cronico: Lo stress può influire negativamente sul sistema immunitario, aumentando i livelli di infiammazione.
5. Alimentazione scorretta: Una dieta ricca di grassi saturi, zuccheri e cibi processati può contribuire all’infiammazione sistemica.
6. Carenza di nutrienti: La mancanza di vitamine, minerali e antiossidanti può compromettere la risposta infiammatoria dell’organismo.
7. Fumo e alcol: Questi fattori possono aumentare i livelli di infiammazione a livello sistemico.
I sintomi dell’infiammazione generalizzata possono variare a seconda della causa e della gravità della condizione.
Alcuni sintomi comuni includono:
Stanchezza cronica: Un senso di stanchezza e spossessamento che persiste nel tempo.
Dolori muscolari e articolari: Dolori diffusi nei muscoli e nelle articolazioni.
Difficoltà di concentrazione: Dificoltà nel concentrarsi e nel ricordare le cose
Sbalzi d’umore: Depressione, irritabilità e ansia.
Problemi digestivi: Stitichezza, diarrea o altri disturbi digestivi.
Febbre lieve e persistente: Una febbre di lieve entità che persiste nel tempo.

Conseguenze:
L’infiammazione sistemica a lungo termine può aumentare il rischio di sviluppare malattie croniche, tra cui:
Malattie cardiovascolari: Ipertensione, aterosclerosi e infarto.
Diabete di tipo 2: Resistenza all’insulina e aumento del rischio di diabete.
Alcuni tipi di cancro: Alcuni tipi di tumore, come il cancro al colon e al seno, sono associati all’infiammazione cronica.
Patologie renali: Danni ai reni e problemi di funzionalità renale.
Malattie autoimmuni: L’infiammazione cronica può peggiorare le malattie autoimmuni.

Approfondimento B

I marcatori per l’infiammazione di basso grado più comunemente utilizzati includono la proteina C-reattiva (PCR), l’interleuchina-6 (IL-6), il fibrinogeno, e le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Questi marcatori possono essere misurati attraverso esami del sangue e indicano uno stato infiammatorio cronico che può essere associato a diverse condizioni di salute.
Ecco alcuni dei marcatori più specifici:
Proteina C-reattiva (PCR):
Un indicatore generale di infiammazione, prodotto dal fegato in risposta all’infiammazione.
Una citochina pro-infiammatoria che gioca un ruolo chiave nella risposta immunitaria e infiammatoria.
Fibrinogeno:
Una proteina coinvolta nella coagulazione del sangue, che può aumentare in presenza di infiammazione cronica.
Specie reattive dell’ossigeno (ROS):
Molecole che possono danneggiare le cellule e contribuire all’infiammazione cronica.
Altri marcatori emergenti includono:
8-OH-dG: Un prodotto di degradazione ossidativa del DNA/RNA, utilizzato come supporto, ma non raccomandato da solo.
Rottura del DNA a doppio filamento: Utilizzata con il metodo COMET, è riconosciuta dall’EFSA per la misurazione dell’infiammazione.
MDA: Un prodotto di ossidazione dei lipidi, non riconosciuto dall’EFSA.
F2-isoprostani: Altri prodotti di ossidazione dei lipidi.
Questi marcatori possono fornire informazioni preziose sullo stato infiammatorio di un individuo e possono essere utilizzati per monitorare l’efficacia di interventi terapeutici.

Approfondimento C

Nuovi marcatori per l’infiammazione di basso grado
Standard biomarkers of acute inflammation C-reactive protein (CRP) and erythrocyte sedimentation rate (ESR) may be subject to limitations in the assessment of inflammation that is more chronic or low-grade in nature. There is a need for accurate markers of low-grade or chronic inflammation that are stable and not subject to acute factors. Novel or emerging inflammatory biomarkers that may represent promising alternatives include the neutrophil-lymphocyte ratio, glycoprotein acetyls, and soluble urokinase plasminogen activator receptor. These markers have demonstrated utility in a variety of clinical conditions (including cancer and cardiovascular disease), may offer increased sensitivity in people with some conditions, and may outperform the standard ESR and CRP in specific situations. These markers can also be positively influences by healthy lifestyle changes and habits. While the complete clinical relevance and best uses of these markers is still being elucidated, they may offer new avenues for exploring the multi-faceted nature of chronic inflammation. Novel and Emerging Markers of Chronic or Low-Grade Inflammation
Author: Khara Lucius. Integrative and Complementary TherapiesVol. 29, No. 3

Cibo non digerito e infiammazione intestinale

by luciano

Premessa (il percorso del cibo: cenni)
Il cibo ingerito inizia il suo percorso nella bocca dove inizia la digestione degli amidi, prosegue nello stomaco dove le proteine vengono scomposte in elementi più piccoli. Passa poi, nell’intestino dove altri enzimi digestivi continuano la digestione degli amidi, delle proteine e dei grassi. Nell’intestino la digestione continua per la presenza di altri enzimi e viene assimilato (l’assimilazione avviene principalmente nell’intestino tenue) attraverso i “villi” che ricoprono le pareti dell’intestino stesso; i nutrienti che attraversano i villi entrano nel circolo sanguigno. Solo il cibo digerito può passare attraverso questa barriera intestinale. In un individuo sano, il cibo (di un pasto equilibrato, sano contenuto) non digerito attraversa il colon per poi essere espulso. La funzione del colon è quella di assorbire acqua, nutrienti e di fermentare il cibo non digerito, convertendolo infine nelle feci per l’eliminazione.

In evidenza

Cibo indigerito:

Essendo di origine diversa dalla nostra, cellule, polisaccaridi e proteine del cibo non possono essere utilizzati così come sono. Devono essere degradati in molecole semplici dall’apparato digerente nel tratto gastrointestinale e poi assorbiti dalle pareti dell’intestino attraverso i “villi” intestinali per entrare, poi, nel flusso sanguigno.

Microbiota intestinale:
Il microbiota rappresenta l’insieme di tutti i singoli microrganismi -dai batteri, ai funghi, ai protozoi fino ai virus- che convivono con il nostro organismo senza danneggiarlo. Nel nostro corpo, il microbiota si trova non solo nell’intestino, ma anche sulla pelle, sui capelli, nella cavità orale, nei polmoni, negli organi genitali (vagina), nelle narici, nella cavità oculare e nel canale uditivo.
Il microbiota intestinale dipende da noi per il suo sostentamento; infatti, il cibo che scegliamo di mangiare determina la composizione del microbiota intestinale, nutrendo una o l’altra popolazione microbica e favorendone così la crescita [21–24].
In condizioni di salute, le diverse popolazioni microbiche vivono in un rapporto armonico e mutualistico con se stesse e con l’ospite. In questa condizione, chiamata “eubiosi”, l’ecosistema intestinale è ben bilanciato. Lo stato eubiotico è caratterizzato da un’elevata diversità microbica, con una marcata prevalenza di microbi potenzialmente benefici per l’organismo, in quanto influenzano praticamente tutte le funzioni intestinali: digestione e produzione di energia, immunità mucosale, integrità della barriera intestinale, protezione dai patogeni, produzione di vitamine e altri metaboliti utili, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA). Inoltre, nello stato eubiotico la composizione del microbiota intestinale è benefica per la funzionalità di tutti gli organi dell’ospite, incluso il cervello.
L’alterazione delle diverse popolazioni microbiche dovuta ad esempio ad una dieta ipercalorica, prevalentemente carnivora, ricca di acidi grassi saturi e carboidrati raffinati, e spesso associata ad alimenti trasformati industrialmente altera l’ecosistema intestinale a favore di batteri nocivi: questo stato è chiamato disbiosi. La disbiosi, se persiste è la premessa per l’infiammazione intestinale. L’alterazione del microbiota è causata inoltre da droghe, alcol, farmaci, stress.

Infiammazione intestinale
L’infiammazione è un processo di difesa innato [2,3]. Si verifica in risposta alla presenza di materiale estraneo o come conseguenza di danni tissutali causati da agenti fisici, chimici o biologici, o da anomalie come l’incapacità di eliminare le scorie o di digerire i nutrienti. Se la causa dell’infiammazione persiste, anche l’infiammazione persiste, solitamente con bassa intensità, e viene chiamata infiammazione cronica di basso grado. E’ causata anche, come evidenziato nel precedente paragrafo, dalla disbiosi intestinale.

Barriera intestinale
La barriera fisica intestinale è costituita da uno strato (intestino tenue) o da due strati (intestino crasso) di muco, un singolo strato di cellule epiteliali e l’endotelio vascolare. Le cellule epiteliali rappresentano la vera barriera insormontabile a tutte quelle molecole dannose per l’organismo (virus, batteri patogeni, parassiti, tossine, antigeni alimentari e cibo indigerito). Ciò è reso possibile dal fatto le cellule epiteliali sono strettamente associate tra loro formando delle giunzioni strette (tight junctions). La barriera epiteliale intestinale non è una struttura statica ma dinamica, poiché le sue giunzioni strette possono essere aperte e chiuse in risposta a stimoli esterni ed interni.
In conclusione, la barriera intestinale deve essere impermeabile principalmente alle molecole alimentari non completamente digerite. La rottura della barriera consente sia alle molecole alimentari non digerite sia alle cellule microbiche di fuoriuscire dall’intestino e entrare nel flusso sanguigno). Tutte queste condizioni possono innescare una risposta infiammatoria.
E’ importante evitare o limitare alimenti e farmaci che possono allentare l’integrità della barriera intestinale, comprese situazioni di stress persistenti, e preferire i fattori dietetici che possono rafforzare l’integrità della barriera intestinale.
Importante: gli alimenti trasformati sono pro-infiammatori perché possono contenere diversi additivi chimici: aromi artificiali, coloranti, conservanti, emulsionanti, antibiotici e in più metalli pesanti, pesticidi e erbicidi che hanno effetti deleteri sul microbiota intestinale e sui livelli della vitamina D.
Vitamina A + Vitamina D
Le vitamine A e D sono efficaci contro l’infiammazione cronica e favoriscono la stabilità della barriera intestinale. La loro azione sul microbiota non è diretta poiché i loro recettori nucleari sono espressi solo dall’ospite, non dal microbiota. La carenza di vitamina D porta alla rottura della barriera intestinale, alla disbiosi intestinale e all’infiammazione intestinale [80].

Barriera intestinale e glutine
Il glutine allenta le giunzioni strette della barriera intestinale e la rende più permeabile. È ormai chiaro che la risposta degli anticorpi osservata da Reichelt e Jensen [34] era dovuta al fatto che le proteine della gliadina attraversavano la barriera intatte o solo parzialmente digerite. L’aumentata permeabilità della barriera intestinale causata dal glutine è particolarmente evidente negli individui con sensibilità al glutine non celiaci [36].

Barrierra emato encefalica (cervello)
E’ la barriera che racchiude il cervello e impedisce ad agenti dannosi eventualmente presenti nel flusso sanguigno di entrare.
Il microbiota intestinale e le molecole di cibo non digerito cooperano nell’attacco alla barriera emato-encefalica. A prima vista, può sembrare strano che una condizione disbiotica intestinale possa portare al danno della barriera emato-encefalica (BEE). Tuttavia, nel corso di una disbiosi intestinale protratta, il normale dialogo tra intestino e CNS [86–88] viene in qualche modo interrotto dalle molecole che fuoriescono dal lume intestinale e si riversano nel flusso sanguigno, innescando un’infiammazione sistemica cronica. La formazione di anticorpi contro le molecole di cibo non digerito, che assomigliano ad alcune proteine cerebrali, può indirizzare i processi pro-infiammatori verso la BEE e causarne la rottura. Infatti, ciò che è stato in grado di rendere la barriera intestinale più permeabile può avere lo stesso effetto anche sulla BEE. L’ingesso di molecole dannose nel cervello aggravano le malattie neuro-degenerative.

Note
1 – Le note riassuntive derivano dalla traduzione di alcuni passaggi della ricerca:
Indigestione Food and Gut Microbiota May Cooperate in the Pathogenesis of Neuroinflammatory Diseases: A Matter of Barriers and a Proposal on the Origin of Organ Specificity. Paolo riccio e Rocco Rossano.
Department of Sciences, University of Basilicata, 85100 Potenza, Italy; paoloxriccio@gmail.com Correspondence: rocco.rossano@unibas.it. Received: 1 October 2019; Accepted: 8 November 2019; Published: 9 November 2019. Nutrients 2019, 11, 2714; doi:10.3390/nu11112714.

2 – La numerazione dei capitoli fa riferimento agli analoghi capitoli della ricerca di cui al punto 1.
La numerazione di ogni capitolo è analoga a quella della ricerca di cui al punto 1

3 – I numeri in parentesi quadra si riferiscono alle referenze citate nella ricerca di cui al punto 1.

Acronimi
central nervous system: CNS
chronic systemic inflammation: CSI
barriera emato-encefalica: BEE

Prodotti senza glutine

by luciano

In evidenza:
1 – Nei prodotti senza glutine sono state riscontrate carenze nutrizionali di minerali essenziali come ferro, zinco magnesio e calcio, e per contro sono stati rilevati elevati contenuti di lipidi saturi
2 – I prodotti industriali senza glutine contengono in molti casi oli di palma e di palmisti
3 – Nonostante i miglioramenti nella formulazione dei GFP negli ultimi anni, il loro profilo di macronutrienti suggerisce che contengano differenze marcate e non possano essere considerati equivalenti dal punto di vista nutrizionale rispetto alle loro controparti contenenti glutine
4 – I grassi buoni includono grassi monoinsaturi e polinsaturi. Quelli cattivi includono i grassi trans di produzione industriale
5 – Nel 2015, la FDA ha dichiarato che i grassi trans non sono “generalmente riconosciuti come sicuri” e dovevano essere gradualmente eliminati entro il 2001
6 -Un recente studio, pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha valutato per la prima volta l’associazione tra emulsionanti e rischio di sviluppare diabete di tipo 2

A – Nutritional quality and costs of gluten-free products: a case-control study of food products on the Norwegian marked. 2021. Mari C. W. Myhrstad, Marlene Slydahl, Monica Hellmann, Lisa Garnweidner-Holme, Knut E. A. Lundin et al.

Background: Celiac disease is a chronic autoimmune disease triggered by gluten exposure in genetically predis- posed individuals. A life-long intake of a gluten-free (GF) diet is required for its management. Wheat, rye and barley are eliminated in a GF diet and the nutritional adequacy of the diet has been questioned. In Norway, cereals and bread constitute a key role of the diet and are the main source of fiber intake. Gluten restrictions may therefore offer important implications for nutrient adequacy especially linked to fiber intake in people with celiac disease.
Objective: The aim of the study was to investigate the nutritional quality and price of GF products and com- pare with gluten-containing counterparts available at instead of in the Norwegian market.
….omissis
The current study clearly shows that GF products compared to equivalent gluten-containing products contain less protein and fiber, and more carbohydrate, saturated fat and salt. Furthermore, GF compared to gluten-containing products are more expensive. To our knowledge, this is the first study comparing GF products at the Norwegian market with gluten-containing counterparts.

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B – Review on chemical composition of gluten-free food for celiac people. Antonella Maggio, Santino Orecchio and Salvatore Barreca. Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche, Università di Palermo, Viale delle Scienze, I-90128 Palermo, Italy. Integr Food Nutr Metab, 2019. Published: January 25, 2019.

Abtract: Gluten free food lead to possible nutrient unbalance resulting in improper nutritional quality of diet. The aim of this review is to show and discuss the composition of main components of common gluten free products in order to provide doctors and nutritionists the necessary data to compile balanced diets for users of gluten-free products and to determine their contribution to the daily intake of nutrients and micro elements. Special emphasis has been addressed to metal contents, fatty acid profiles and fibers.
……omissis
Conclusions
Most of the nutritional data reported in literature, are based on food labels. Few data were obtained by direct chemical analysis of food. In this context, will be necessary to encourage the use of chemical analytical practices in order to provide doctors and nutritionists the necessary data to compile balanced diets for users of gluten-free products and to determine their contribution to the daily intake of nutrients and micro elements. Special emphasis has been addressed to metal contents, fatty acid profiles and fibers.
Literature analysis has highlighted that, the most gluten free food, show a deficit of nutrients in term of concentrations. At this regard, an inadequate nutritional value of the GF-diet was observed from several authors. In detail, it was founded nutrient deficiencies for essential minerals such as iron, zinc magnesium and calcium, and on another hand high content of saturated lipids were detected.
Furthermore, the dietary-therapeutic approach should encourage the use of naturally gluten free products such as pseudo-cereals and fruits concerning to metal contents, and fish or seafood regarding fatty acids, especially for sutured and unsatured fatty acid ratio.
Moreover, alimentary education should become part of the therapeutic pathway to understand the importance of labels, choice of food and combination of macro and micronutrients.

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C – Fatty Acid Composition of Gluten-Free Food (Bakery Products) for Celiac People. Antonella Maggio and Santino Orecchio. Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche, Università di Palermo, Viale delle Scienze, I-90128 Palermo, Italy; antonella.maggio@unipa.it. Correspondence: santino.orecchio@unipa.it; Tel.: +39-91-2389-7968. Foods. Published: 20 June 2018

Abstract: The aim of this study (first analytical approach) was to obtain data concerning the fatty acid composition of gluten-free foods (bakery products) for celiac people. The study included 35 different products (snacks, biscuits, bakery products, pasta, flours, etc.) from several manufacturers. After extraction and esterification, the fatty acid composition was determined by Gaschromatography (GC–MS) Monounsaturated fatty acids (MUFAs) were found to be the major constituents (57%), followed by saturated fatty acids (SFAs) (30%), and polyunsaturated fatty acid (13%). Only 15 of the 35 gluten-free samples analyzed appeared to provide adequate energy intake, while, in 11 samples, saturated fatty acids were found to supply more energy than that recommended by the European Food Safety Authority EFSA. Moreover, data analyses showed that, although gluten-free commercial products are high added-value foods, industrial products in many cases contain palm and palm kernel oils, whereas the local producers generally use the finest raw materials, such as olive oil.

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D – Gluten-Free Products: Do We Need to Update Our Knowledge? Claudia Marmol-Soler. Foods 2022.
It can be concluded that reviewing the nutritional composition of GF foods from time to time is highly relevant since these products, which are in great demand, undergo constant changes in their composition with the aim of improving their nutritional quality. Despite improvements in the formulation of GFPs in recent years, their macronutrient profile suggested they contained marked differences and cannot be considered nutritionally equivalent when compared with their gluten-containing counterparts. Therefore, it is strongly recommended that food companies continue with the reformulation of these products in order to increase their nutritional quality, adapt to market demands, and accordingly provide balanced nutrition to those patients with CD.

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E – The truth about fats: the good, the bad, and the in-between
April 12, 2022. Avoid the trans fats, limit the saturated fats, and replace with essential polyunsaturated fats . Harvard Medical School. https://www.health.harvard.edu/

You may wonder isn’t fat bad for you, but your body needs some fat from food. It’s a major source of energy. It helps you absorb some vitamins and minerals. Fat is needed to build cell membranes, the vital exterior of each cell, and the sheaths surrounding nerves. It is essential for blood clotting, muscle movement, and inflammation. For long-term health, some fats are better than others. Good fats include monounsaturated and polyunsaturated fats. Bad ones include industrial-made trans fats. Saturated fats fall somewhere in the middle.
All fats have a similar chemical structure: a chain of carbon atoms bonded to hydrogen atoms. What makes one fat different from another is the length and shape of the carbon chain and the number of hydrogen atoms connected to the carbon atoms. Seemingly slight differences in structure translate into crucial differences in form and function.
Bad trans fats
The worst type of dietary fat is the kind known as trans fat. It is a byproduct of a process called hydrogenation that is used to turn healthy oils into solids and to prevent them from becoming rancid. Trans fats have no known health benefits and that there is no safe level of consumption. Therefore, they have been officially banned in the United States.
Early in the 20thcentury, trans fats were found mainly in solid margarines and vegetable shortening. As food makers learned new ways to use partially hydrogenated vegetable oils, they began appearing in everything from commercial cookies and pastries to fast-food French fries. Trans fats are now banned in the U.S. and many other countries.
Eating foods rich in trans fats increases the amount of harmful LDL cholesterol in the bloodstream and reduces the amount of beneficial HDL cholesterol. Trans fats create inflammation, which is linked to heart disease, stroke, diabetes, and other chronic conditions. They contribute to insulin resistance, which increases the risk of developing type 2 diabetes. Even small amounts of trans fats can harm health: for every 2% of calories from trans fat consumed daily, the risk of heart disease rises by 23%.
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F- Hydrogenated oil comes in two forms: partially or fully hydrogenated. One use of hydrogenated oil is to preserve the shelf life of food. Partially hydrogenated oil contains trans fat that can raise cholesterol and result in health complications. Food manufacturers use hydrogenated oil as a preservative. They also use it for enhancing flavor and texture.
In 2015, the Food and Drug Administration (FDA)Trusted Source said that partially hydrogenated oil is not safe, and removing it from food could prevent thousands of heart attacks each year.
Partially hydrogenated oil (trans fat)
In the past, manufacturers added partially hydrogenated oils to processed foods.
According to the FDA, foods that used to contain large amounts of artificial trans fat include:
most baked goods
stick margarine
frosting
coffee creamers
snack foods
In 2015, the FDATrusted Source declared that trans fat is not “generally recognized as safe” and had to be phased out by 2018.
However, trans fat may still be present in some foods. According to the American Heart Association (AHA)Trusted Source, trans fat occurs naturally in certain animals, such as cows.
Fully hydrogenated oil
Fully hydrogenated oil also uses a process to take a liquid oil and transform it into a solid at room temperature. As the name suggests, the oil is fully or nearly completely hydrogenated, which reduces the amount of trans fat in the final product. Unlike partially hydrogenated oil, the FDATrusted Source still allow products to use fully hydrogenated oil as of 2018. In 2020, the FDA released certification that states fully hydrogenated rapeseed oil is safe for sparing use in food products. Though hydrogenated oils may be safe, it does not mean they are necessarily good for a person to consume. Products that contain them are often highly processed with added sugar and salt.
From: https://www.medicalnewstoday.com/articles/325266#summary

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G- Nutritional quality and costs of gluten-free products: a case-control study of food products on the Norwegian market. Mari C.W. Myhrstad et al. 2021
Results: The GF products contained less protein and fier, and higher content of saturated fat, carbohydrate and salt compared to the gluten-containing products. The total amount of fat was not different between the groups. A similar pattern was found within several of the food categories. More gluten-containing products met the nutrition claim “high in fier” (fiber > 6 g/100 g) compared to the GF products. The price of the GF products was higher; ranging from 46%–443% more expensive than the gluten-containing products.

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H – Macchine alimentari – Prodotti e tecnologie per alimenti senza glutine. Anno XVII -1 – Genn. Feb 2015
Idrocolloidi. (H1) Tra le ultime novità che possono soddisfare queste esigenze troviamo, come sopra citati, gli idrocolloidi, che si stanno affermando con maggiore forza nel settore bakery. Queste sostanze, infatti, permettono di ottenere prodotti con lunga shelf life, inserimento di farine integrali e fibre, l’assenza di grassi trans e non ultimo l’assenza di glutine. Gli idrocolloidi, come il termine fa presagire, sono molecole in grado di legare acqua in grandi quantità; tra i più usati nei prodotti da forno vi sono la gomma di xantano, la pectina, le cellulose modificate e i frutto- e galatto-oligosaccaridi. Alcune di queste sostanze sono considerate fibre alimentari, in grado di stimolare il senso di sazietà e avere effetti positivi sulla funzionalità intestinale: la loro presenza si può configurare, pertanto, co- me aggiunta di sostanze benefiche al prodotto. Spesso gli idrocolloidi ottengono il loro effetto tecnologico-funzionale nel prodotto anche se aggiunti agli impasti in piccole quantità, per esempio minori dell’1% del totale degli ingredienti in polvere. Negli impasti di pane e altri prodotti da forno gli idrocolloidi aiutano, in fase produttiva, a migliorare la lavorabilità dell’impasto grazie all’effetto di rapida ed uniforme idratazione dello stesso. Il volume, la struttura e la sofficità dei prodotti finiti sono migliorati. La fragilità è minore, per esempio nel caso di prodotti da forno “spumosi” con elevata presenza di bolle d’aria o presenza di pezzi in sospensione (cioccolato, frutta o frutta secca): tali bolle o pezzi sono stabilizzati all’interno del sistema grazie agli idrocolloidi. In fase di conservazione, poi, c’è un aumento della shelf life dei prodotti grazie al mantenimento di sofficità per tempi più prolungati: la differenza rispetto ai prodotti privi di idrocolloidi è tanto più evidente con il passare del tempo. Pare, infine, che la presenza di idrocolloidi sia anche in grado di influenzare le dimensioni dei cristalli di ghiaccio all’interno degli impasti per pane o altri prodotti semi-cotti durante la loro surgelazione, permettendo di ottenere un prodotto scongelato di migliore qualità.
Omissis…
(H2) Ci sono operazioni unitarie che sono di difficile attuazione per alimenti che non prevedono l’uso di glutine, come per esempio le fasi di estrusione, trafilatura o laminazione che avvengono nella pasta oppure in alcuni prodotti da forno: le sollecitazioni che avvengono in queste fasi necessitano di elasticità da parte dell’impasto, pertanto sono fondamentali formulazioni in grado di sostenere il processo in continuo di un impianto magari pre-esistente.
Omissis….
(H3) Se si confrontano dei cracker senza glutine, si riscontrano formulazioni estremamente semplici, con farine di mais e riso, ed altre più complesse, con l’aggiunta di fecola di patate, destrosio, emulsionanti ed addensanti. Dal punto di vista nutrizionale, è chiaro che l’alimento potrebbe risultare, rispetto al medesimo prodotto convenzionale, maggiormente ricco di zuccheri ed in parte di grassi. Il pane in cassetta, più difficile da realizzare in quanto lievitato, mostra formulazioni piuttosto complesse a base di mais, riso o grano saraceno, amidi, fibre vegetali, proteine, zuccheri, addensanti (tra cui idrocolloidi), emulsionanti, acidificanti. Tale ricettazione implica, a livello nutrizionale, o un aumento di carboidrati di circa il 10- 15% rispetto al prodotto convenzionale della medesima categoria oppure un aumento di grassi, soprattutto saturi, di circa il 30-50%.
Nel campo dolciario, le considerazioni sono più o meno le medesime, in quanto a livello nutrizionale, rispetto ai prodotti convenzionali, permangono valori più elevati di carboidrati, soprattutto zuccheri, e grassi, principalmente saturi, per sopperire alla carenza di viscoelasticità della parte proteica.

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I – Emulsionanti e rischio diabete: lo studio di Lancet
Dopo essere stati accusati di contribuire al rischio di obesità, cancro e malattie cardiovascolari, un’analisi recente condotta sullo studio prospettico di coorte NutriNet Santé li identifica come fattori che aumentano il rischio di diabete di tipo 2.
Sebbene le Autorità Sanitarie considerino sicuro il loro uso in quantità definite, basandosi su criteri di citotossicità e genotossicità, di recente stanno emergendo prove dei loro effetti negativi sul microbiota intestinale, che a sua volta innescano infiammazione e alterazioni metaboliche.
Un recente studio, pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha valutato per la prima volta l’associazione tra emulsionanti e rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Gli Autori hanno analizzato i dati di oltre 104 mila adulti arruolati dal 2009 al 2023 a cui è stato chiesto di compilare registri dietetici di 24 ore ogni 6 mesi. L’obiettivo era valutare l’esposizione agli emulsionanti.
L’1% del campione, ha sviluppato diabete di tipo 2 durante il follow up di 6-8 anni.
Dei 61 additivi identificati, sono sette gli emulsionanti ‘attenzionati’ associati a un potenziale aumento del rischio di diabete (occhi, quindi, alle etichette!):
E407 (carragenine totali);
E340 (esteri di poliglicerolo);
E472e (esteri di acidi grassi);
E331 (citrato di sodio);
E412 (gomma di guar);
E414 (gomma arabica);
E415 (gomma di xantano);
oltre ad un gruppo chiamato ‘carragenine’.
Gli additivi emulsionanti sono stati assunti nel 5% da frutta e verdure ultra lavorate (come verdure in scatola e frutta sciroppata), nel 14.7% da torte e biscotti, nel 10% da prodotti lattiero-caseari.
Tre conseguenze sottolineate dal prof. Angelo Avogaro, Presidente SID
1. La necessità di contenere il consumo di cibi ultra-processati;
2. l’appello a una maggiore attenzione alle etichette;
3. la necessità di chiedere una regolamentazione più stringente allo scopo di proteggere i consumatori.
“Sebbene siano necessari ulteriori studi a lungo termine, le alterazioni del microbiota intestinale, fanno ritenere che potrebbe essere necessario rivedere gli RDA (Recommended Daily Allowance, livelli giornalieri di assunzione). Precedenti prove che legavano l’assunzione di carragenina all’infiammazione intestinale hanno portato l’JECFA a limitarne l’uso nelle formule e negli alimenti per neonati. Stiamo assistendo a un preoccupante aumento del diabete di tipo 2 anche tra bambini e adolescenti” sottolinea la Prof.ssa Raffaella Buzzetti, Presidente eletto SID.
References
Cosa sono gli emulsionanti e quali sono gli esempi comuni di tali sostanze utilizzate negli alimenti?
Food additive emulsifiers and the risk of type 2 diabetes: analysis of data from the NutriNet-Santé prospective cohort study. The Lancet Diabete and Endocrinology, volume 12, issue 5, p339-349, May 2024.

L – Direct impact of commonly used dietary emulsifiers on human gut microbiota.
Background: Epidemiologic evidence and animal studies implicate dietary emulsifiers in contributing to the increased prevalence of diseases associated with intestinal inflammation, including inflammatory bowel diseases and metabolic syndrome. Two synthetic emulsifiers in particular, carboxymethylcellulose and polysorbate 80, profoundly impact intestinal microbiota in a manner that promotes gut inflammation and associated disease states. In contrast, the extent to which other food additives with emulsifying properties might impact intestinal microbiota composition and function is not yet known.
….omissis. Conclusions: These results indicate that numerous, but not all, commonly used emulsifiers can directly alter gut microbiota in a manner expected to promote intestinal inflammation. Moreover, these data suggest that clinical trials are needed to reduce the usage of the most detrimental compounds in favor of the use of emulsifying agents with no or low impact on the microbiota. Direct impact of commonly used dietary emulsifiers on human gut microbiota. Sabrine Naimi. https://doi.org/10.1186/s40168-020-00996-6.

M– …………omissis. We found dietary emulsifiers to significantly alter human gut microbiota toward a composition and functionality with potentially higher pro-inflammatory properties. While donor-dependent differences in microbiota response were observed, our in vitro experimental setup showed these effects to be primarily emulsifierdependent. Rhamnolipids and sophorolipids had the strongest impact with a sharp decrease in intact cell counts, an increased abundance in potentially pathogenic genera-like Escherichia/Shigella and Fusobacterium, a decreased abundance of beneficial Bacteroidetes and Barnesiella, and a predicted increase in flagellar assembly and general motility. The latter was not substantiated through direct measurements, though. The effects were less pronounced for soy lecithin, while chemical emulsifiers P80 and CMC showed the smallest effects. Short chain fatty acid production, with butyrate production, in particular, was also affected by the respective emulsifiers, again in an emulsifier‐ and donordependent manner.

….omissis. One of the most profound impacts of emulsifier treatment toward gut microbiota was the decline in intact microbial cell counts. The degree of microbiome elimination in this study seems comparable to what has been observed for antibiotic treatments (Francino, 2016; Guirro et al., 2019). Since antibiotics are considered detrimental for gut ecology, this may serve as a warning sign with respect to emulsifier usage. Emulsifiers also act as surfactants, which are known for their membrane solubilizing properties (Jones, 1999). The fact that the observed decline in microbial viability was dependent on emulsifier dose and on the emulsifying potential of the supplemented compound, as measured by the aqueous surface tension reduction (Table 1), leads us to conclude that the dietary emulsifiers attack the bacterial cells principally at the level of the cell membrane.

………….omissis. A last important element in the putative health impact from dietary emulsifiers concern’s interindividual variability. An individual’s unique microbiota and metabolism are important determinants of the potential health effects dietary emulsifiers could cause. While the overall effects from the different emulsifiers toward microbiota composition and functionality were quite consistent in our study, important interindividual differences in susceptibility of the microbiota were noted. Understanding what underlying factors and determinants drive this interindividual variability will be crucial to future health risk assessment of novel and existing dietary emulsifiers.

N – Common dietary emulsifiers promote metabolic disorders and intestinal microbiota dysbiosis in mice. Suraphan Panyod et al. 2024 https://doi.org/10.1038/s42003-024-06224-3.

Dietary emulsifiers are linked to various diseases. The recent discovery of the role of gut microbiota–host interactions on health and disease warrants the safety reassessment of dietary emulsifiers through the lens of gut microbiota. Lecithin, sucrose fatty acid esters, carboxymethylcellulose (CMC), and mono- and diglycerides (MDG) emulsifiers are common dietary emulsifiers with high exposure levelsin the population. This study demonstrates that sucrose fatty acid esters and carboxymethylcellulose induce hyperglycemia and hyperinsulinemia in a mouse model. Lecithin, sucrose fatty acid esters, and CMC disrupt glucose homeostasis in the in vitro insulinresistance model. MDG impairs circulating lipid and glucose metabolism. All emulsifiers change the intestinal microbiota diversity and induce gut microbiota dysbiosis. Lecithin, sucrose fatty acid esters, and CMC do not impact mucus–bacterial interactions, whereas MDG tends to cause bacterial encroachment into the inner mucus layer and enhance inflammation potential by raising circulating lipopolysaccharide. Our findings demonstrate the safety concerns associated with using dietary emulsifiers, suggesting that they could lead to metabolic syndromes.

NOTA

L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha stabilito che i prodotti che riportano i claim sui benefici dell’idrossipropilmetilcellulosa devono riportare anche l’avvertimento della possibilità di soffocamento in caso di difficoltà di deglutizione o se ingeriti con una quantità di fluidi insufficienti. Per questi motivi è importante assumere l’idrossipropilmetilcellulosa insieme ad acqua abbondante, in modo da assicurarsi che raggiunga lo stomaco. L’idrossipropilmetilcellulosa E464 svolge diversi compiti, principalmente è usato come agente addensante, fibra alimentare, agente anti-aggregante e filmogeno. È simile alla cellulosa, ma presenta una migliore solubilità in acqua. Trova impiego nelle farine e nei prodotti gluten-free dove viene impiegata per migliorare le caratteristiche reologiche degli impasti e quelle organolettiche dei prodotti per celiaci.