Header Image - Gluten Light
Gallery

Magazine

Grano Monococco, dicocco e grano duro

by luciano

Grano Monococco, dicocco e grano duro: non hanno la frazione “33mer” considerata la più attiva nell’attivare la risposta avversa del sistema immunitario nei soggetti celiaci. Anche per questo motivo sono i genotipi più adatti per le ricerche che hanno come scopo di “detossificare” le farine o di intervenire con particolari enzimi per idrolizzare i “peptidi tossici” comunque presenti; sono più adatti anche per i soggetti sensibili al glutine NON celiaci.

“Quantitation of the immunodominant 33-mer peptide from α-gliadin in wheat flours by liquid chromatography tandem mass spectrometry.

Kathrin Schalk , Christina Lang , Herbert Wieser , Peter Koehler  & Katharina Anne Scherf. Scientific Reports volume 7, Article number: 45092 (2017).

Abstract

Coeliac disease (CD) is triggered by the ingestion of gluten proteins from wheat, rye, and barley. The 33-mer peptide from α2-gliadin has frequently been described as the most important CD-immunogenic sequence within gluten. However, from more than 890 published amino acid sequences of α-gliadins, only 19 sequences contain the 33-mer. In order to make a precise assessment of the importance of the 33-mer, it is necessary to elucidate which wheat species and cultivars contain the peptide and at which concentrations. This paper presents the development of a stable isotope dilution assay followed by liquid chromatography tandem mass spectrometry to quantitate the 33-mer in flours of 23 hexaploid modern and 15 old common (bread) wheat as well as two spelt cultivars. All flours contained the 33-mer peptide at levels ranging from 91–603 μg/g flour. In contrast, the 33-mer was absent (<limit of detection) from tetra- and diploid species (durum wheat, emmer, einkorn), most likely because of the absence of the D-genome, which encodes α2-gliadins. Due to the presence of the 33-mer in all common wheat and spelt flours analysed here, the special focus in the literature on this most immunodominant peptide seems to be justified……Omissis…..

Analysis of durum wheat, emmer and einkorn

The 33-mer peptide was also analysed in two durum wheat and two emmer cultivars (genome AABB) as well as two diploid einkorn cultivars (genome AA) (Table 1). In each of these wheat species, the 33-mer was not detected (<LOD). In comparison to hexaploid common wheat, durum wheat, emmer, and einkorn do not contain the D-genome, which originated from hybridisation of T. turgidum dicoccum (genome AABB) with Aegilops tauschii (genome DD)36. The absence of the 33-mer peptide can be explained by the fact that this peptide is encoded by genes located in the Gli-2 locus on chromosome 6D, which is missing in durum wheat, emmer, and einkorn. Studies by Molberg et al. showed clear variations in intestinal T-cell responses between common wheat and tetra- or diploid species due to different degrees of T-cell immunoreactivity between the gluten proteins encoded on the A-, B-, and D-genome. Einkorn cultivars were only recognized by DQ2.5-glia-α1a-specific T-cell clones, but not by DQ2.5-glia-α1b- and DQ2.5-glia-α2-specific T-cell clones. Emmer and durum wheat cultivars were all recognized by DQ2.5-glia-α1a-specific T-cell clones, but only two out of four emmer cultivars and three out of ten durum wheat cultivars activated DQ2.5-glia-α1b- and DQ2.5-glia-α2-specific T-cell clones37. Consistent with our results, Prandi et al.38 found that the 33-mer was not present in durum wheat. As a consequence, this peptide was used as a marker peptide to identify the presence of common wheat in durum wheat flours. One durum wheat cultivar was also analysed by van den Broeck et al.33 and the 33-mer peptide was not detected either”. https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/deed.it

Genoma dell’antenato del frumento duro

by luciano

Comunicato stampa

Svelato il genoma dell’antenato del frumento duro 07/07/2017

Un team internazionale di ricercatori ha ricostruito per la prima volta la sequenza del genoma del farro selvatico (Triticum turgidum ssp. dicoccoides). Il lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, è stato guidato dall’Università di Tel Aviv ed ha coinvolto diverse decine di ricercatori provenienti da istituzioni di tutto il mondo. L’Italia ha contribuito a questo risultato attraverso la partecipazione di Crea (Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Fiorenzuola d’Arda), del Cnr (Istituto di biologia e biotecnologia agraria e Progetto InterOmics) e dell’Università di Bologna (Dipartimento di scienze agrarie).

Il farro selvatico è il progenitore da cui sono stati selezionati quasi tutti i frumenti coltivati, tra cui il grano duro ed il grano tenero utilizzati per produrre, rispettivamente, pasta e pane. Il farro selvatico non è coltivato a causa della bassissima produzione e dei caratteri selvatici che lo caratterizzano. Ad esempio, i semi maturi del farro selvatico cadono spontaneamente a terra rendendo difficile la loro raccolta da parte dell’uomo, mentre nel farro coltivato i semi rimangono sulla spiga. La decodifica del genoma del farro selvatico rappresenta un contributo fondamentale per lo studio dei caratteri genetici utili per il miglioramento dei frumenti coltivati (in relazione alla resistenza agli stress biotici ed abiotici, in particolare la siccità) e per la ricostruzione della storia evolutiva del frumento nella fase antecedente la nascita dell’agricoltura. La disponibilità del genoma del farro selvatico ed il confronto con il patrimonio genetico dei frumenti coltivati ha infatti consentito di identificare i geni responsabili dell’addomesticamento. In particolare sono stati caratterizzati due geni la cui mutazione spontanea impedisce la dispersione dei semi dalle spighe mature, una modifica che, rendendo possibile lo sviluppo dell’agricoltura nel neolitico, è stata determinante nell’indirizzare la storia dell’umanità.

Il genoma del farro selvatico è circa il triplo del genoma umano, caratteristica che rende la sua ‘lettura’ particolarmente difficile. Il Centro di ricerca genomica e bioinformatica ha partecipato con le proprie competenze bioinformatiche all’annotazione funzionale del genoma, ovvero all’identificazione della funzione dei geni, occupandosi in particolare di una porzione del genoma tanto misteriosa quanto affascinante poiché coinvolta nell’attività di regolazione genica in quanto sede di produzione dei cosiddetti RNA non codificanti. Ed è proprio questa parte del genoma ad essere la più interessante per la genomica del futuro permettendo di svelare i meccanismi di accensione e spegnimento coordinati degli oltre 65.000 geni presenti nel genoma del farro selvatico.

Cnr e Università di Bologna hanno contribuito allo studio dell’addomesticamento e della diversità genetica presente nelle popolazioni di farro selvatico e domestico, fonti importanti di variabilità ed una riserva fondamentale di varianti genetiche naturali tuttora scarsamente esplorata ed utilizzata per il miglioramento del frumento moderno. Da questo lavoro sono attese ricadute importanti sulle attività di miglioramento genetico per incrementare la sostenibilità, la resistenza alla siccità, la tolleranza alle patologie e gli aspetti nutrizionali e salutistici dei frumenti del futuro.

“L’approccio di sequenziamento ed analisi bioinformatica utilizzato per il farro selvatico è senza precedenti e ha aperto la strada al sequenziamento del frumento duro, la forma addomesticata del farro selvatico. Ora possiamo capire meglio come l’uomo ha trasformato questa pianta selvatica in un grano duro moderno ad alto rendimento”, ha detto il Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Crea di genomica e bioinformatica e coordinatore del Consorzio internazionale di sequenziamento del frumento duro.

“La disponibilità della sequenza del farro selvatico è un vero e proprio filo di Arianna che ci consentirà di individuare più facilmente i geni per selezionare frumenti di qualità migliore ed a minor impatto ambientale. Conoscere questi geni è la premessa indispensabile per utilizzare le nuove metodiche di selezione come l’editing dei geni, la cui applicazione potrà assicurare la competitività della granicoltura nazionale”, ha detto Roberto Tuberosa, responsabile del Laboratorio di genomica dei cereali presso il Dipartimento di scienze agrarie dell’Università di Bologna.

Aldo Ceriotti, direttore dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr, sottolinea come “Il confronto fra la sequenza del farro selvatico e quella del frumento duro ci permetterà di evidenziare come la selezione fatta dall’uomo abbia favorito l’accumulo di specifiche modificazioni nella sequenza del genoma di una delle principali specie coltivate nell’area del Mediterraneo, e costituirà una solida base per lo studio della variabilità genetica e lo sviluppo di nuove varietà di frumento duro”.

La scheda: Chi: Cnr (Istituto di biologia e biotecnologia agraria e Progetto InterOmics); Università di Tel Aviv; Crea; Università di Bologna.

Che cosa: Studio sul genoma del farro selvatico, pubblicato su Science

Per informazioni: Aldo Ceriotti, direttore Ibba-Cnr, tel. 02/23699444, e-mail: ceriotti@ibba.cnr.it

Capo ufficio stampa:
Marco Ferrazzoli
marco.ferrazzoli@cnr.it
ufficiostampa@cnr.it

Varietà di grano a basso contenuto di frazioni tossiche: un’opportunità per i prodotti dedicati ai bambini.

by luciano

LC/MS ANALYSIS OF GLUTEN PEPTIDES DERIVED FROM SIMULATED GASTROINTESTINAL DIGESTION OF DIFFERENT WHEAT VARIETIES: QUALITY AND SAFETY IMPLICATIONS. Sforza, Stefano & Prandi, Barbara & Bencivenni, Mariangela & Tedeschi, Tullia & Dossena, Arnaldo & Marchelli, Rosangela & Galaverna, Gianni. (2011):

Riassunto

“Il contenuto di glutine nel grano è molto variabile, dipendendo dalla varietà genetica e delle condizioni di coltivazione. La digestione gastrointestinale del glutine produce, oltre ai peptidi corti, anche lunghi, che, l’alto contenuto di prole di gliadine (16-26%) e glutenine (11-13%), rende molto resistenti alla degradazione delle proteasi digestive. Nel presente lavoro, un metodo per l’estrazione della frazione prolamine è stato applicato a diverse varietà di grano, seguite da una digestione gastrointestinale simulata della gliadina estratta. Le miscele peptidiche generate erano caratterizzate da LC / MS e i peptidi più abbondanti sono stati identificati mediante tecniche MS a stadio multiplo a bassa e alta risoluzione e attraverso la sintesi di standard autentici. Questi peptidi erano anche semiquantificati nei diversi campioni rispetto a un adeguato standard interno. Le miscele peptidiche sono risultate molto variabili, a seconda del diverso contenuto e tipo di gliadine presenti nelle varietà di grano, con forti differenze tra le varietà testate, sia qualitativamente (le sequenze dei peptidi generate) sia quantitativamente (la loro quantità).

La differenza più grande è stata trovata tra le varietà di grano duro e quelle comuni. I peptidi presenti solo nelle varietà precedenti sono stati identificati e utilizzati come marcatori molecolari per identificare e quantificare la presenza di grano tenero quando aggiunti a campioni di grano duro. La maggior parte dei peptidi identificati erano già noti per essere patogeni per le persone affette da celiachia, un’enteropatia autoimmune innescata dalle proteine ​​del glutine, che si sviluppa in alcuni soggetti geneticamente suscettibili dopo il consumo di glutine. Alcuni campioni appartenenti a varietà definite hanno mostrato una minore quantità di peptidi patogeni legati alla celiachia durante la digestione, a causa di un contenuto inferiore di gliadina. Sebbene non sia sicuro per i pazienti celiaci, l’uso di queste varietà nelle formulazioni di alimenti per l’infanzia potrebbe essere di grande aiuto per ridurre la diffusione della malattia, poiché la prevalenza della celiachia sembra essere favorita da un’esposizione precoce a una grande quantità di peptidi di glutine”.

 

Grano monococco (piccolo farro) e l’offerta del mercato

by luciano

La ricerca scientifica ha evidenziato da tempo le caratteristiche peculiari del grano monococco  riportate in (https://glutenlight.eu/2019/03/11/il-grano-monococco/ ) e così sintetizzabili:

  1. Elevata digeribilità del glutine
  2. Elevata tollerabilità in relazione ai disturbi gastro-intestinali (celiachia esclusa)
  3. Elevato contenuto di minerali e vitamine
  4. Elevata disponibilità di componenti bioattive
  5. Un differente rapporto tra le componenti dello zucchero dell’amido con prevalenza di quella a lento assorbimento.

Il grano monococco è, da un po’ di tempo, al centro dell’attenzione dei produttori-trasformatori e dei consumatori. I prodotti offerti, però, non hanno, se non in rari casi, una tracciabilità completa da partendo dal “campo arrivi alla tavola”. Sulle confezioni di farina è raro trovare indicazioni riguardo la varietà del grano da cui deriva; sui prodotti finali troviamo gli ingredienti obbligatori per legge ma, raramente, la modalità di preparazione. Il discorso, comunque, vale per tutti i grani sia antichi sia moderni. La maggiore attenzione verso il grano monococco (piccolo farro) è dovuta alla forza evocativa della sua origine ancestrale e alle sue caratteristiche di elevata digeribilità, tollerabilità e contenuti salutistici. La varietà di grano usato e gli indicatori che ci informino sulla quantità e “forza” del glutine risulterebbero particolarmente preziose per poter inserire nella nostra dieta, quando serve, prodotti più digeribili. Il glutine così come si forma durante quando acqua e farina vengono impastate non è digeribile dal nostro intestino, deve venire prima “spezzettato” dagli enzimi digestivi in piccolissimi “frammenti”. In questo modo nell’intestino altri enzimi digestivi completeranno il lavoro in modo da rendere i componenti del glutine “aminoacidi” assimilabili. La minore quantità di glutine e una minore forza faciliteranno a volte di molto, il nostro compito.

I prodotti fatti con farina di grano monococco (piccolo farro) ed in genere quelli realizzati con “ i grani antichi”, vengono pubblicizzati come “molto digeribili” o “ad elevata digeribilità”. Entrambi i termini sono molto generici dal momento che possono presentare forti differenze in termini di quantità di glutine e di “forza del glutine”. Recentemente ho acquistato due differenti farine di grano monococco di cui ho fatto rilevare la quantità di glutine: uno ha una percentuale di glutine secco del 9,6% l’altro del 17,1%! Stessa cosa con la forza del glutine il cui indice in un caso era 33 in un altro 71!

Questi indicatori sono un primo valido aiuto che potremmo avere per meglio bilanciare, con il supporto del medico, la nostra dieta. Va poi ricordato che la digeribilità finale del prodotto realizzato con farine, qualunque esse siano, è molto influenzata anche dalla modalità di preparazione dei prodotti: basti pensare al notevole contributo per la digeribilità che possiamo ottenere utilizzando la pasta acida, ma anche questa informazione è generalmente assente o presente in maniera ambigua o senza specificazione di quale farina sia stata utilizzata: “….realizzato con pasta acida”.  https://glutenlight.eu/2019/05/08/la-fermentazione-della-pasta-acida-ii-parte/

under construction.