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Grano Monococco Varietà Norberto (I parte)

by luciano

Grano monococco varietà Norberto (ID331)

Presentazione sintetica varietà Norberto. Le banche genetiche dei grani custodiscono innumerevoli semi di grano (accessioni- varietà) che sono oggetto di studi, ricerche cosi come di richieste per coltivazione. L’accessione può essere indicata con un numero, un codice, il nome dell’agricoltore, di colui che l’ha individuata, del raccoglitore, ecc., e della località di raccolta.
Le varietà sono, a differenza delle accessioni, iscritte al Registro delle varietà di specie agrarie con un proprio nome identificativo in moda da poter essere commercializzate. Ed è quello che è avvenuto con l’accessione ID331 che il CREA di Roma ha “caratterizzato” (cioè descritto e individuato in modo univoco) e  iscritto con il nome di Norberto. Successivamente il CREA, attraverso una gara pubblica (2017) ha assegnato, per 10 anni, alla società Agroservice S.P.A. la coltivazione del seme con l’obbligo di mantenerlo in purezza.

Caratteristiche peculiari grano monococco.
1. caratteristica struttura glutine
2. caratteristiche salutistiche
3. certezza di cosa acquistiamo
4. purezza e salubrità di cosa acquistiamo

Caratteristica della struttura del glutine

Perchè il glutine del monococco è meno forte di quello del grano duro e del grano tenero
La struttura del glutine è composta da glutenine che formano una struttura chiamata macropolimero -lo scheletro del glutine [1] – che ingloba le gliadine. Le glutenine sono collegate tra loro da legami disolfuro che sono molto resistenti alla scissione. Il monococco ha più gliadine che glutenine rispetto agli altri grani, ha, quindi, uno “scheletro” meno sviluppato che rende il suo glutine meno “forte” [2]. La maggiore presenza di gliadine rende, inoltre, gli impasti viscosi e soffici.
Note:
1 – It has been proposed that glutenin subunits provide a structural backbone to the glutenin macropolymer through the formation of disulfide bonds that are highly resistant to cleavage [1]. The inherent ability of glutenin subunits to form disulfide bonds is thought to be determined by the primary and secondary structure of the proteins, which determines whether cysteine residues are present and available to form disulfide bonds, the capacity of a subunit to fold in the manner that would be required to form the bond, and the elasticity of the subunit once in the polymer to provide visco-elastic properties to a dough. The glutenin macropolymer of wheat flour doughs: structure–function perspectives. Megan P. Lindsay et al. Trends in Food Science & Technology Volume 10, Issue 8, August 1999, Pages 247-253
2 – Il contenuto e la composizione delle proteine del glutine è stato oggetto di pochi studi; quelli esistenti riguardanti anche il rapporto GLIADINE/GLUTENINE riportato i seguenti dati: farine bianche di frumento tenero valori compresi tra 1,7–3,1 (Wieser e Kieffer, 2001) e 1,4–2,1 (Thanhaeuser et al., 2014), mentre quelle di farro (2,2–9,0) (Koenig et al., 2015 ), frumento duro (3,1–5,0) (Wieser, 2000; Wieser et al., 2003), farro (3,5–7,6) (Wieser e Koehler, 2009) e monococco (4,0–14,0) (Wieser et al., 2009), sempre monococco (4.2-12.0) Sabrina Geisslitz et al. 2018

Caratteristiche salutistiche

1 – Digeribilità del glutine
Le varietà di grano monococco hanno un glutine, pur nella variabilità dovuta alle condizioni pedo-climatiche delle zone di coltura, sensibilmente meno “forte” e in quantità inferiore (Comparative Analysis of in vitro Digestibility and Immunogenicity of Gliadin Proteins From Durum and Einkorn Wheat. Frontiers in Nutrition maggio 2020)” rispetto ai grani duri e tenero. Queste caratteristiche hanno un forte impatto sulla digeribilità del glutine. Il grano monococco varietà Norberto ha un indice di glutine 15-30 e un indice di forza di circa 80. Uno studio condotto dal CNR di Avellino a cura di G. Mamone, dimostra l’elevata digeribilità del monococco rispetto al frumento: “Con il nostro studio abbiamo scoperto che varietà antiche di questo cereale contengono un glutine più fragile e dunque più digeribile e meno tossico rispetto al grano tenero (Triticum aestivum)”. Approfondimento: la digestione del glutine.

La digeribilità del glutine è di estrema importanza per mantenere in buono stato l’apparato gastro-intestinale e, di conseguenza la salute. Il sistema gastro-intestinale è soggetto a molteplici patologie (oltre che malattie vere e proprie) che ne compromettono il buon funzionamento. Tra queste “patologie” l’infiammazione e la permeabilità intestinale rivestono particolare importanza. Patologie piuttosto frequenti aggravate dallo stress sempre più presente nella nostra vita (a livelli molto alti oggi anche per effetto del covid) e dal regime alimentare non sempre corretto.

Il grano monococco possiede delle caratteristiche peculiari che né fanno un ottimo alleato per non aggravare sia l’infiammazione che la permeabilità intestinale anzi, la varietà ID331 (ora Norberto), contiene una frazione del glutine (peptide) che esercita un effetto “protettivo” verso la membrana intestinale come successivamente precisato. Inoltre i prodotti con grano monococco possono migliorare non solo i parametri proinfiammatori/antiossidanti ma anche lo stato glicemico e lipidico (Brandolini 2021).

2 – Effetto sulla permeabilità intestinale e verso la membrana intestinale
Una ricerca del 2016 ha evidenziato che il glutine (specificatamente le gliadine) del grano monococco id331 (ora Norberto) non stimolano la permeabilità intestinale “ ID331 gliadin did not enhance permeability”. Inoltre possiede una frazione del glutine che esercita un’azione protettiva della mucosa intestinale. (Protective effects of ID331 Triticum monococcum gliadin on in vitro models of the intestinal epithelium. G. Jacomino et al 2016).

3 – Effetto anti infiammatorio verso la membrana intestinale
Lo studio “ Integrated Evaluation of the Potential Health Benefits of Einkorn-Based Breads A. Gobetti et al. 2017” ha evidenziato che il il grano monococco (pane) esercita un’azione anti-infiammatoria sulla membrana intestinale :“einkorn bread evidenced an anti-inflammatory effect, although masked by the effect of digestive fluid”. In buona sostanza un potenziale aiuto per mantenere la salute: “potential health benefit of einkorn-based bakery products compared to wheat-based ones.”

Cutaneous Manifestations of Non-Celiac Gluten Sensitivity

by luciano

 

Cutaneous Manifestations of Non-Celiac Gluten Sensitivity: Clinical Histological and Immunopathological Features
Veronica Bonciolini, Beatrice Bianchi, Elena Del Bianco, Alice Verdelli, and Marzia Caproni
Abstract
Background: The dermatological manifestations associated with intestinal diseases are becoming more frequent, especially now when new clinical entities, such as Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS), are identified. The existence of this new entity is still debated. However, many patients with diagnosed NCGS that present intestinal manifestations have skin lesions that need appropriate characterization. Methods: We involved 17 patients affected by NCGS with non-specific cutaneous manifestations who got much better after a gluten free diet. For a histopathological and immunopathological evaluation, two skin samples from each patient and their clinical data were collected. Results: The median age of the 17 enrolled patients affected by NCGS was 36 years and 76% of them were females. On the extensor surfaces of upper and lower limbs in particular, they all presented very itchy dermatological manifestations morphologically similar to eczema, psoriasis or dermatitis herpetiformis. This similarity was also confirmed histologically, but the immunopathological analysis showed the prevalence of deposits of C3 along the dermo-epidermal junction with a microgranular/granular pattern (82%). Conclusions: The exact characterization of new clinical entities such as Cutaneous Gluten Sensitivity and NCGS is an important objective both for diagnostic and therapeutic purposes, since these are patients who actually benefit from a GFD (Gluten Free Diet) and who do not adopt it only for fashion.
….omissis: 5.

Conclusions
At the moment, the results of our study do not allow the exact characterization of a new skin disease related to NCGS. The skin lesions observed were similar both to eczema and psoriasis and did not show a specific histological pattern. Furthermore, no serological marker was useful to identify these patients. The only data common to most of these patients affected by NCGS associated to non-specific skin manifestations are:
1. the itching;
2. the presence of C3 at the dermoepidermal junction;
3. a rapid resolution of lesions when adopting the gluten free diet.”

From: Nutrients. 2015 Sep; 7(9): 7798–7805. Published online 2015 Sep 15. doi:10.3390/nu7095368

 

Cibo non digerito e il microbiota intestinale

by luciano

Il cibo non digerito e il microbiota intestinale possono collaborare nella patogenesi delle malattie neuroinfiammatorie: una questione di barriere e una proposta sull’origine della specificità d’organo
Premessa
La digeribilità dei prodotti realizzati con farina di grano è andata mano mano diminuendo in relazione alla sempre più diffusa necessità di grani che diano un impasto adatto ai processi industriali. La digeribilità del cibo e, dunque in particolare dei grani è rilevante in quanto in molte persone concorre in modo spesso significativo ad aumentare l’infiammazione intestinale. Lo studio proposto affronta questa importante tematica.

Undigested Food and Gut Microbiota May Cooperate in the Pathogenesis of Neuroinflammatory Diseases: A Matter of Barriers and a Proposal on the Origin of Organ Specificity . Paolo Riccio, Rocco Rossano Nutrients. 2019 Nov 9;11(11):2714. doi: 10.3390/nu11112714.
Abstract: As food is an active subject and may have anti-inflammatory or pro-inflammatory effects, dietary habits may modulate the low-grade neuroinflammation associated with chronic neurodegenerative diseases. Food is living matter different from us, but made of our own nature. Therefore, it is at the same time foreign to us (non-self), if not yet digested, and like us (self), after its complete digestion. To avoid the efflux of undigested food from the lumen, the intestinal barrier must remain intact. What and how much we eat shape the composition of gut microbiota. Gut dysbiosis, as a consequence of Western diets, leads to intestinal inflammation and a leaky intestinal barrier. The efflux of undigested food, microbes, endotoxins, as well as immune-competent cells and molecules, causes chronic systemic inflammation. Opening of the blood-brain barrier may trigger microglia and astrocytes and set up neuroinflammation. We suggest that what determines the organ specificity of the autoimmune-inflammatory process may depend on food antigens resembling proteins of the organ being attacked. This applies to the brain and neuroinflammatory diseases, as to other organs and other diseases, including cancer. Understanding the cooperation between microbiota and undigested food in inflammatory diseases may clarify organ specificity, allow the setting up of adequate experimental models of disease and develop targeted dietary interventios.
Keywords: Alzheimer’s disease; Parkinson’s disease; amyotrophic lateral sclerosis; autism spectrum disorders; blood-brain barrier; diet; gut microbiota; inflammation; intestinal barrier; multiple sclerosis (traduzione abstract in fondo articolo)

In evidenza questo passaggio:
omissis. 7. What Food Is and Why It must be Digested Food is what we eat: everything that has to do with the matter of life, not inorganic matter.  We do do not eat sand, mud, paper or plastic, but everything we recognize to be safe and in its essence   similar to us, i.e., that which is made like us and that we know how to “treat”, metabolize and  and transform in order to obtain energy or to replace our altered constituents over time. Therefore, our food is made up food is made up exclusively of living matter (which has often been inactivated).   However, when we consume it, food is completely different from us (non-self) and we cannot use use any of it as it is.  Altogether, dietary macromolecules are so different from us that we must provide for for their elimination as soon as they occur outside the gastrointestinal system. Although the biological cells and the macromolecular structures present in our menus  (proteins, membranes, polysaccharides) are different from ours, their basic constituents [the bioelements (C,N,O,H), and simple molecules such as fatty acids, monosaccharides, aminoacids] are the same as  those we use (Figure 5). Ultimately, living matter is at the same time both foreign to us (non-self) and those we use (Figure 5) and congenial to us (self). As they are different in origin from ours, tissues, cells and proteins from food cannot be used as they are. They must be degraded to simple molecules by the digestive system in the gastro-intestinal tract (the reaction vessel) and then absorbed. This is why food must be digested before being absorbed: it is non-self before digestion and becomes self when digestion is complete. Only the completely digested molecules are congenial to us, are recognized as self and can enter our metabolism after their absorption.  In conclusion the task of In digestion  is to make  food like us, while absorption is required to make absorption simple molecules  available to our metabolism. In just over a day (35–40h) our food becomes part of us (Figuren 6).

Figure 1. Chronic neurodegenerative diseases have a chronic inflammatory basis in common.

Figure 2 Dietary habits affect both our metabolism and the composition of our gut microbiota.

Figure 3 Pro-inflammatory dietary factors.

Figure 4 Anti-inflammatory dietary factors. The intrinsic factors are those playing a role in our metabolism. They include: omega-3 poly-unsaturated long-chain fatty acids (n-3 PUFAs), present in fish oil; vitamins A and D, B12, PP, E and C; oligoelements such as magnesium, zinc and selenium; thiolic acids such as alfa-lipoic acid (ALA), N-acetyl cysteine and glutathione. The extrinsic factors are the polyphenols, the phytochemicals present in vegetables: they have anti-inflammatory properties and upregulate the catabolism, but are recognized by our metabolism as “foreign” molecules. However, as shown below, they represent a food source for the gut microbiota. Prebiotics and probiotics are cited here for their anti-inflammatory action, but their effects are exerted mainly through the gut microbiota.

Figure 5 The basic constituents of living matter. The world we know is made up of 92 chemical elements, 81 of which are stable. Living matter uses only about 26–30 of these elements, but 99% of it consists of only four “bioelements”: carbon (C); nitrogen (N); oxygen (O); and hydrogen (H). The bioelements are able to form 4-3-2-1 bonds, respectively, and have a high tendency to get together and form complex molecules such as proteins and nucleic acids, which are different for every species. This means that at the basic level all living organisms are equal to each other, while in their complex forms they are different.

Figure 6 Schematic representation of the metabolic processes, from digestion of the simplest molecules, common to all living organisms and to their fruition.

Figure 7 Effects of dietary factors and stressors on the integrity of the intestinal barrier.

Figure 8 From Westernized dietary habits to neuroinflammation and neurodegenerative diseases: a schematic representation.

Abstract: traduzione

Poiché il cibo è un soggetto attivo e può avere effetti antinfiammatori o pro-infiammatori, le abitudini alimentari possono modulare la neuroinfiammazione di basso grado associata a malattie neurodegenerative croniche. Il cibo è materia vivente diversa da noi, ma fatta della nostra stessa natura. Pertanto, è al tempo stesso estraneo a noi (non self=estraneo) se non ancora digerito e come noi (self=se stesso) dopo la sua completa digestione. Per evitare l’efflusso di cibo non digerito dal lume (stomaco/intestino), la barriera intestinale deve rimanere intatta. Cosa e quanto mangiamo modella la composizione del microbiota intestinale. La disbiosi intestinale, come conseguenza delle diete occidentali, porta a un’infiammazione intestinale e una barriera intestinale cheperde la sua integrità. L’efflusso di cibo non digerito, microbi, endotossine, nonché cellule e molecole immunocompetenti provoca un’infiammazione sistemica cronica. L’apertura della barriera ematoencefalica può innescare microglia e astrociti e impostare neuroinfiammazione. Suggeriamo che ciò che determina la specificità d’organo del processo autoimmune-infiammatorio può dipendere da antigeni alimentari simili alle proteine dell’organo che viene attaccato. Questo vale per il cervello e le malattie neuroinfiammatorie, come per altri organi e altre malattie, compreso il cancro. Comprendere la cooperazione tra microbiota e cibo non digerito nelle malattie infiammatorie può chiarire la specificità dell’organo, consentire la creazione di adeguati modelli sperimentali di malattia e sviluppare interventi dietetici mirati.

Autorizzazione: Deed Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale (CC BY 4.0)

Pane di farina semintegrale di grano monococco del 09-12-2021

by luciano

Il test è stato realizzato con la stessa metodica più volte illustrata nel sito:

Preimpasto: farina di grano monococco semintegrale (passante al setaccio 600 micron), pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, acqua.

Impasto finale: preimpasto, farina di grano monococco (passante al setaccio 600 micron), pasta madre in forma liquida di grano monococco (stesso dell’impasto), lievito di birra in quantità limitatissima come starter, olio extravergine di oliva, malto, sale, acqua.

Abbiamo ottenuto un pane profumatissimo, con sapore accentuato di grano, ma sopratutto con una ottima texture e digeribilissimo.
La lunga maturazione con la pasta madre (sempre fatta con grano monococco) ci ha permesso di conseguire questi risultati.
L’idrolisi del glutine da parte della pasta madre è ben visibile nella Foto n. 1: l’impasto dopo la lunghissima maturazione a freddo (5 gradi) e il successivo riscaldamento fino a 19-20 gradi presenta una maglia glutinica poco sviluppata, anzi “deteriorata”. La formazione della “pagnotta” o del “filone” con la tecnica usuale non è possibile, l’impasto non si presta al “modellamento”. Viene dunque realizzata una palla o un rotolo per la lievitazione in cestino (Foto. N. 2).
La foto N. 3 mostra l’impasto a fine lievitazione pronto per il forno; la superficie non appare omogenea ne elastica e lo sviluppo è limitato. Il risultato Foto NN. 4 e 5 mostrano la riuscita del test e sopratutto le foto NN. 6, 7, 8, 9 sono la tangibile prova della ottima riuscita della texture che presenta una mollica disordinata nella distribuzione degli alveoli ma decisamente presenti: il pane non risulta affatto compatto. Guardando lo stato dell’impasto (Foto N.1) non sembrerebbe possibile arrivare ad ottenere il risultato mostrato nella foto n. 9!

Foto n. 1

Maturazione naturale della farina (II parte)

by luciano

La maturazione naturale della farina è un processo che riguarda gli aspetti biochimici, enzimatici e botanici dei fenomeni che avvengono durante la maturazione naturale degli sfarinati, dopo la macinazione e le implicazioni tecnologiche sul processo della panificazione e richiede tempo. Necessità commerciali hanno sempre più orientato molti operatori del settore ad accelerare questo processo utilizzando additivi.
L’argomento è di vitale importanza per la qualità dei prodotti finali ed è per questo motivo che pubblichiamo integralmente un articolo (suddiviso in due parti) della Dott.sa Lauri Simona (tecnologo alimentare).
L’articolo è di una straordinaria chiarezza ed evidenzia una profonda conoscenza della materia unita ad una notevole capacità espositiva.

“L’importanza della maturazione naturale della farina
La maturazione naturale della farina rappresenta realmente un elemento facoltativo, per non dire superfluo? O è forse un fattore chiave, frutto di un secolare processo tecnologico naturale, nonché sinonimo di vera qualità?.

Maturazione: naturale e indotta
Con il termine maturazione s’intendono tutte le variazioni chimico-fisiche, biochimiche, enzimatiche e reologiche che uno sfarinato subisce in presenza di ossigeno, nel periodo che intercorre tra la macinazione ed il successivo utilizzo nel settore dell’arte bianca in generale.
Attualmente, per una questione soprattutto di costi, spazi e tempo, si tende a non farla più avvenire naturalmente, ma ad indurla “artificialmente”, accelerando il fenomeno mediante l’utilizzo di additivi ad hoc, dimenticandosi la maggior parte delle volte di quanto tali aggiunte possano rappresentare uno squilibrio piuttosto importante sia da un punto di vista reologico che enzimatico.
I fenomeni alterativi a carico delle farine
Trattandosi di uno sfarinato, è chiaro che le condizioni fisiche esterne di stoccaggio (temperatura ed umidità relativa – U.R.), la presenza di ossigeno, la modalità di conservazione (silos o sacchi in carta), le caratteristiche reologiche ed enzimatiche dello sfarinato di partenza, l’utilizzo finale, ecc. siano di estrema importanza per molteplici fattori.

Entomologia, biochimica e tecnologia lavorano in sinergia proprio per ridurre i rischi di alterazione di un prodotto che è ricavato da un seme “vitale” e che pertanto richiede un monitoraggio costante per ridurre il rischio di surriscaldamenti, proliferazione d’insetti (lepidotteri, coleotteri, ditteri ecc.), eccessiva attività enzimatica e fenomeni ossidativi a carico della frazione lipidica, soprattutto per quelle farine definite “intere”.

(fig.1 – Cariossidi di Grano Khorasan) (fig.2 – Farina di Mais Fine) (fig.3 – Crusca di Frumento)

Le farine integrali si conservano per un periodo più breve e la loro conservabilità sarà tanto minore quanto maggiore sarà l’U.R. della stessa. Se per esempio una farina di frumento tenero con 15.5% (valore max ammesso dal DPR 187/2001) di umidità si conserva per circa 9-10 mesi, una farina integrale con lo stesso 15.5% di umidità si conserverà indicativamente per “soli” 2-3 mesi a 17°C oppure 4-6 mesi con 14.5% o 9 mesi con 14.0% a parità di valori di temperatura.

L’attività enzimatica
Appare evidente come l’attività enzimatica sia funzione diretta della temperatura e dell’U.R.: se aumenta la temperatura, accresce l’attività microbica, fisica, chimica ed enzimatica, aumentando il grado di acidità. Pertanto, le lipasi idrolizzeranno i lipidi, le fosfolipasi i fosfolipidi, le proteasi le proteine, le amilasi l’amido, le pentosanasi, le emicellulasi e le xilanasi svolgeranno invece la loro azione sui polisaccaridi definiti “non-amido”.
Uno sfarinato appena macinato presenta una struttura reologica di eccessiva debolezza abbinato a scarsa attività enzimatica, scarso assorbimento di acqua e a un colore più scuro. In caso d’immediata panificabilità, i problemi tecnologici rilevati si riassumerebbero in: impasti eccessivamente deboli e appiccicosi, ridotta stabilità, scarso assorbimento di acqua, diminuzione dei tempi d’impastamento, mancanza di struttura, difficoltà di colorazione del prodotto, mancanza di volume, valori di R/E e P/L molto bassi, ridotti tempi di lavorazione, impossibilità di sopportare lunghe fermentazioni in biga e impossibilità di utilizzo in lavorazioni indirette.
La chiave per la qualità: il tempo
Se conservata in modo adeguato, con il passare del tempo una farina diventa sempre più “forte” e chiara fino alla sua condizione massima (varabile da sfarinato a sfarinato) e avente optimum di circa 35 – 40 giorni a 11°C, 30 – 35 giorni a 16°C, 25 – 30 giorni a 26°C, 15 – 20 giorni a 31°C.

(fig.4 – Farina di Mais e Mais Finissima, Semola di Grano Duro, Farina di Grano Tenero, Grano Spezzato, Farina di Farro, Crusca di Frumento)

 

(fig.5 – Macina di Mulino ad Acqua)

Alcuni dei fenomeni alla base di tale trasformazione reologica risiedono nel cambiamento strutturale delle proteine responsabili della rete glutinica che passano – complice l’azione dell’ossigeno e dell’ossidasi – da una conformazione nativa filiforme ad una con ordinamento casuale, disordinato e ripiegato.

Tali modificazioni biochimiche portano alla trasformazione dei gruppi tiolici -SH terminali in ponti disolfuro -S-S- aumentando le interazioni inter ed intramolecolari tra le proteine, dando origine ad una struttura nativa “ripiegata” della parte proteica insolubile con la conseguente riduzione dell’appiccicosità ed incremento dell’assorbimento di acqua nella fase dell’impastamento.

La perdita di colore e lo sbiancamento naturale sono invece una diretta conseguenza dell’ossidazione dei carotenoidi, pigmenti naturali di cui il 95% è rappresentato dalle xantofille, oltre che dall’azione diretta delle lipasi.

Gli acidi grassi liberati dall’azione delle lipasi sono trasformati in perossidi dalle lipossigenasi; i perossidi, a loro volta, ossidano i pigmenti (effetto schiarente) ed aumentano i ponti di solfuro tra catene proteiche o parti di esse.

Altri fenomeni concorrono a migliorare le caratteristiche di panificabilità di una farina tra cui il processo della respirazione, che porta alla produzione di calore, umidità, anidride carbonica e assorbimento di ossigeno dall’ambiente esterno.

Trascorso il periodo definibile di optimum, le caratteristiche chimico-fisiche, biochimiche e reologiche della farina cominciano a peggiorare e come si dice in gergo, la farina diviene “gessata”: molto chiara, con basso valore di pH (optimum tra 5.8 e 6.2 per il frumento), elevata attività enzimatica, diminuzione della solubilità delle proteine, parziale rottura delle catene proteiche, aumento dell’azoto aminico e glutine molto tenace e rigido. A livello di lavorabilità, si traduce in una riduzione del volume del prodotto sia per eccesso di tenacità sia per intensa attività enzimatica.
Conclusioni
Tornando al quesito iniziale vorrei rilevare, ancora una volta, che la maggioranza dei mugnai opera una corretta maturazione naturale, ma purtroppo – come avviene in tutti gli ambiti – non tutti lo fanno poiché ritengono più “conveniente” (anche in considerazione che la stessa legislazione vigente lo consente; si vedano a mero titolo d’esempio il Reg. CE 1129/2011, il Reg. CE 1169/2011, il Reg. CE 1331-32/2008, ecc.) additivare volontariamente e senza limiti (“quantum satis”, come dice la legge per alcuni additivi) le farine, facendole passare per sfarinati che abbiano subito la maturazione naturale.
La maturazione naturale della farina è un processo tecnologico che ha i secoli di storia del grano stesso e sarebbe opportuno insegnarlo un po’ più spesso, a qualche tecnico di laboratorio di aziende molitorie, a molti rappresentanti, agli operatori del settore dell’Arte Bianca e ricordarlo a chi pensa sia solo un optional antieconomico.

La qualità di una farina si fa partendo dalla qualità (in tutti i sensi!) dei grani, con correttezza, miscele opportune di cultivar, controlli rigorosi, serietà, scelte aziendali oneste, rispettose e consapevoli, ma soprattutto senza usare: acido fosforico, fosfati, biossido di silice, silicati, acido ascorbico, L- cisteina, glutine secco, enzimi vari, ecc.
Certo, la strada dell’onestà è faticosa ed in salita, ma… consente di camminare con orgoglio e a testa alta!”

Simona Lauri
Panificatore artigiano, consulente tecnico, perito, docente, maestro e formatore di Arte Bianca (pane tradizionale italiano, pizza classica, pizza in pala, prodotti innovativi, prodotti da forno, grandi lievitati, prodotti tradizionali, soggetti artistici, etc.) per Professionisti, Associazioni, Enti Nazionali ed Internazionali, Privati, Aziende, Fiere e Manifestazioni Italiane ed Estere. Giudice di gara in diverse Competizioni Nazionali e Mondiali. Iscritta all’Ordine dei Tecnologi Alimentari Regione Lombardia e Liguria OTA.
All’attivo numerose pubblicazioni scientifiche su portali, testate giornalistiche del settore. Già Docente universitario di microbiologia, relatore in convegni tecnici del settore, formatore ed esperto con pluriennale esperienza pratica.