Senza glutine è meglio? No, se non si è celiaci. Ecco perchè
La moda del senza glutine per tutti impazza da tempo. Tutto cominciò negli Stati Uniti, anche tra chi non soffriva di celiachia. La prova? Spuntano come funghi ristoranti e rivendite di prodotti gluten free, anche tra coloro che non soffrono di celiachia. A sentire i sostenitori di questo tipo di dieta si tratterebbe di un regime alimentare più salutare e non solo: favorirebbe addirittura la perdita di peso.
Inutile dire che la moda del senza glutine sta registrando un incredibile successo anche in Italia. Tutto bene? Macché! L’Aic (Associazione italiana celiachia) mette in guardia i non celiaci: è una scelta alimentare poco salutare per quanti non soffrono di celiachia e in più influisce sul ritardo diagnostico o la mancata diagnosi di questa forma di “intolleranza permanente” al glutine. Tanto successo ha portato addirittura al conio di un neologismo: glutenfobia. E non si tratta di un fenomeno irrilevante, visto che un italiano su dieci è convinto che la dieta “gluten free” sia più salutare e che tre su dieci pensano che faccia dimagrire. Vero o Falso? Una vera bufala, smentita da gastroenterologi e nutrizionisti che mettono addirittura in guardia su conseguenze negative per la salute.
Infine, al Gluten Free Fest (Festival dedicato interamente alla celiachia) hanno ricordato che frequentemente si confonde la celiachia e la sensibilità al glutine. Utile, così, sapere che il responsabile numero uno della celiachia è il glutine, una sostanza lipoproteica (è l’unione di due tipi di proteine: la gliadina e la glutenina) contenuta nel frumento e in diversi cereali come orzo, farro, segale, avena. Ne sono privi riso, mais, miglio, sorgo, grano saraceno, quinoa e amaranto, che possono essere consumati tranquillamente dai celiaci. Eppoi? Le prolammine (come l’ordeina dell’orzo o la secalina della segale) che si formano per digestione incompleta del glutine sono le responsabili dell’effetto tossico per il celiaco e scatenano la reazione avversa al sistema immunitario. Queste sostanze possono scatenare, in persone geneticamente predisposte, un’infiammazione cronica dell’intestino tenue. Gli effetti? Danneggiamento delle sue pareti intestinali, che provoca distruzione dei villi, con conseguente malassorbimento di macro e micro nutrienti (sali minerali, vitamine, ecc.) Dunque, per il celiaco una dieta senza glutine è imperativa, ma per tutti gli altri no. Su ciò l’Iss salute (Istituto superiore di sanità) è categorico. In assenza di una diagnosi di celiachia fatta da un medico con gli opportuni accertamenti clinici e diagnostici, privarsi di cibi contenenti glutine è sconsigliato. In primis, perché non portare più a tavola i cereali contenenti glutine – come frumento, orzo e farro – vuol dire privarsi non solo delle principali fonti di carboidrati complessi, ma anche dei minerali, delle vitamine, delle proteine e delle fibre alimentari. Viene smontata anche la favoletta del dimagrimento. Al contrario si rischia di perdere la linea. Vediamone la ragione. In genere, i prodotti senza glutine che occhieggiano, ormai, anche dagli scaffali dei supermercati sviluppano un maggior numero di calorie rispetto al corrispondente alimento che contiene glutine, perché addizionati di grassi. Altro aspetto da non trascurare? Questi prodotti hanno un più elevato indice glicemico, quindi portano a un maggior aumento dello zucchero nel sangue dopo il loro consumo, e contemporaneamente hanno un minor effetto saziante. La morale? Lasciate ai celiaci i cibi gluten free, gli unici che ne hanno veramente bisogno per stare in salute. Società | 10 Febbraio 2019
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Presentazione sito Gluten Light
Gluten Light perché?
La comunità scientifica ha evidenziato da tempo la presenza, sempre più accentuata, di una sindrome riconducibile al consumo di prodotti contenenti glutine distinta dalla celiachia. La sensibilità al glutine non celiaca, pur riguardante un’esigua percentuale della popolazione, è in continuo amento e, comunque, riguarda un segmento non più trascurabile. E’ necessario riconsiderare l’utilizzazione, in questi casi, di grani con un glutine meno tenace, più digeribile che sia più tollerabile anche nei casi d’infiammazioni gastro-intestinali. Molte ricerche scientifiche riguardanti il grano monococco ID331 auspicano (ad esempio) l’uso di questo grano per aumentare la prevenzione della celiachia.
“Seppur notevolmente meno dannoso, il monococco non è comunque idoneo per pazienti che hanno già manifestato la celiachia”, puntualizza Gianfrani. “Invece, potrebbe avere effetti benefici sullo sviluppo della malattia in soggetti ad alto rischio di celiachia. Infatti, dal momento che esiste una stretta correlazione tra la quantità di glutine assunta e la soglia per scatenare la reazione infiammatoria avversa, un’azione preventiva potrebbe essere quella di utilizzare grani con minor contenuto di glutine. Pertanto un grano come il monococco che contiene un glutine più digeribile, e dunque meno nocivo, potrebbe essere un valido strumento per la prevenzione di questa patologia”. A beneciare di un dieta a base di piccolo farro sarebbero, secondo i ricercatori, anche i soggetti con sensibilità al glutine. “Oggi sappiamo che gli alimenti a base di grano monococco sono ben tollerati anche da chi sore di questo disturbo alimentare, che ha caratteristiche diverse dalla celiachia. Quindi, il prossimo passo della ricerca sarà eseguire gli esperimenti direttamente sui soggetti intolleranti per avere la conferma della minore tossicità del monococco e riportare sulla nostra tavola un grano antico”, concludono i ricercatori. (Ricercatori dell’Isa-Cnr e Ibp-Cnr hanno dimostrato che il piccolo farro contiene un glutine più digeribile rispetto al grano tenero e potrebbe essere adatto per soggetti sensibili a questa sostanza. Lo studio è pubblicato su Molecular Nutrition and Food Research e apre nuove prospettive di prevenzione della celiachia.)”
Il primo sguardo va ai grani antichi (il sito chiarisce il termine antico o, meglio ne da un’interpretazione generalmente condivisa); ovviamente ad alcuni di questi, dal momento che anche quì esistono differenze marcate. La ricerca si sofferma su quelle varietà con un glutine molto più leggero rispetto (generalmente) ai grani moderni (figura 22); grani legati spesso, se non sempre, al proprio territorio di origine, grani che valorizzano il territorio e preservano anche la variabilità genetica.
I grani “moderni” (sinteticamente quelli su cui l’Uomo ci ha messo le mani con tecniche specifiche) non sono certamente “ad escludendum” ma saranno oggetto di un successivo momento.
I cereali (e tra questi i grani) hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione umana e sono alla base della dieta mediterranea perché sono la fonte principale di carboidrati, apportano fibre, vitamine del gruppo B, sali minerali quali potassio, ferro, fosforo e calcio. Il contenuto di vitamine e minerali è maggiore nel caso in cui il chicco è utilizzato integralmente.
“Nei primi decenni del 900’ il governo italiano sosteneva fortemente la ricerca tanto che nel 1925 venne lanciato il progetto Battaglia del Grano con l’obiettivo di rendere la nazione autosufficiente nella produzione di grano, senza sottrarre nuova terra ad altre colture utili per l’economia nazionale. Gli intensi programmi di miglioramento genetico condotti dopo la seconda guerra mondiale, hanno portato alla completa sostituzione delle varietà locali con nuove cultivars a taglia ridotta e altamente produttive con una conseguente diminuzione della variabilità genetica del frumento”. (Da: Caratterizzazione morfologica e agronomica di popolazioni di cereali antichi. Progetto: Frumenti antichi per pani nuovi – NUTRIGRAN‐BIO. Progetto finanziato con i fondi del Piano di Sviluppo Rurale per l’Umbria 2007‐2013).
Negli ultimi decenni, infine, la progressiva trasformazione industriale riguardante la produzione di pane e derivati nonché della pasta ha spinto la ricerca verso la creazione di varietà con un glutine più tenace adatto alle lavorazioni con le macchine. Le varietà antiche generalmente hanno un glutine non adatto alla lavorazione con le macchine perché poco estensibile e con ridotta stabilità all’impastamento (il tempo d’impastamento delle varietà antiche può essere di pochi minuti mentre per le macchine sono necessari tempi molto più lunghi). Le varietà moderne, non tutte, rispondono a queste esigenze.
Va subito precisato, però, cosa s’intende per grani antichi. Il termine antico è improprio ed è usato soprattutto nella comunicazione, che è veloce e sintetica ma, spesso, fuorviante. La vera differenziazione va fatta tra varietà esistenti nel passato e oggetto di selezione massale o genealogica da parte dell’uomo e quelle ottenute tramite ibridazione o modifica genetica. Queste ultime varietà sono generalmente il risultato di miglioramento genetico in grado di rispondere a diversi metodi di trasformazione e a diverse esigenze nutrizionali. Saranno oggetto di studi e ricerche in una successiva fase. Tra le prime varietà rientrano –a pieno titolo- le varietà locali o autoctone. Citando la Dott. ssa Porfiri:
“Ancora oggi esistono in Italia varietà locali di Triticum. Solo per citarne qualcuna fra le più conosciute: il farro di Monteleone di Spoleto e il farro della Garfagnana nel dicocco; i frumenti teneri “Solina d’Abruzzo” e “Rosciole” dell’Appennino Centrale; Ruscìe, Saragolla/Saragolle, Marzuolo/Marzuoli nei frumenti duri. E perché al plurale? Perché le varietà locali, similmente alle popolazioni naturali, sono frutto dell’azione combinata di mutazioni, ricombinazioni, fenomeni di migrazione e deriva genetica, selezione e sono popolazioni bilanciate, in equilibrio con un determinato ambiente, geneticamente dinamiche, ma anche soggette a diversi gradi di selezione attuata dagli agricoltori. Pertanto, grazie alla loro variabilità all’adattamento a assumono tratti differenziati, tali da consentire una diversa identità genetica in ogni ambiente.”
(Da: Characterization of old and modern durum wheat genotypes in relation to gluten protein and dietary fibre composition. Phd thesis De Santis Michele).
Approfondimenti:
- Concetto di specie, varietà
- Caratterizzazione morfologica e agronomica di popolazioni di cereali antichi